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Declino del modello emiliano di pianificazione

Il ‘modello emiliano’

Nella seconda metà  del XX° l’Emilia Romagna è stata un laboratorio di prima grandezza nel campo del rapporto tra pianificazione territoriale e programmazione economica.

Usiamo ancora quei termini (piano e programma) di antica reminescenza del ‘socialismo in un paese solo’, perché sono stati e sono tuttora le facce della medaglia della governance, che comunque anche oggi incombono nelle politiche di governo di ogni Istituzione Pubblica, soprattutto di quella Regionale. Quella medaglia è stata poi definita ‘modello emiliano’.

Quel modello è stato per quasi tutto questo secondo dopoguerra un riferimento per studiosi, urbanisti, economisti, altre regioni, governi, partiti, pubblici amministratori, anche di avverse fonti politiche. Da cosa era contraddistinto? Da una gestione virtuosa del binomio capitale-lavoro per un verso, e per altro verso dal binomio cittadino-Istituzione.

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Declino del modello emiliano di pianificazione2017-11-08T09:55:45+00:00

Nichilismo di città 

Paralisi

In un recente intervento su questi stessi quaderni1, ho cercato di affrontare una questione che sta ormai divenendo insopportabile per i sistemi locali di governo del territorio e delle loro comunità . Insopportabile è infatti ormai la totale o quasi completa paralisi economica che gli Enti locali si trovano a dover affrontare, in una epoca che sta accelerando vistosamente la necessità  di welfare territoriale oltrechè la necessità  di affrontare le complessità  di una formazione economico-sociale avanzata e matura, ove i rapporti di produzione si sono vieppiù complicati (dal locale al globale) e le forze produttive tendono al cibernetico (!).

La paralisi va accentuandosi e con essa emergono crisi di identità , impotenza generale, vuoti esistenziali delle classi dirigenti locali e non solo di esse. Il fenomeno si osserva in modo epidermico da taluni eventi come il caso rifiuti del napoletano ovvero il no-tav del Piemonte, ovvero ancora in modo più profondo e preoccupante attorno alle incertezze delle politiche di integrazione, per non dire dei balbettii ambientali, anche di parti progressiste e che sembrerebbero virtualmente più sensibili a tali aspetti.

La gestione territoriale dei processi e delle trasformazioni si è così diretta su azioni e pratiche di breve periodo, tese a dare risposte immediate, anche se non convincenti, affinché si possa comunque offrire una soluzione che soprattutto dia autoreferenziabilità  al governante e lo legittimi in tale ruolo. E tutto ciò, piuttosto che affrontare pratiche di conciliazione tra le parti in campo, ottimizzando e ammodernando gli strumenti della democrazia partecipativa. Anche per questo aspetto forse si è persa l’occasione di una riflessione sui cosiddetti ‘diritti’, che oggi sconta un ritorno a pulsioni populiste e tendenzialmente autoritarie.

E’ tutta colpa di questa paralisi economica e di questa incapacità  di realizzare leve finanziarie locali adeguate alla domanda? Certamente la mancata consapevolezza di una falla così grande nel sistema di governo ha contribuito in modo significativo a dare un colpo forte e dolente a una visione  e a un sistema di pratiche di governo, che politiche illuminate degli anni settanta e ottanta avevano in qualche modo comunque impostato. Infatti assistiamo indubbiamente, a questo riguardo, a un processo di deterioramento delle capacità  innovative e di progettazione che le classi dirigenti locali hanno in qualche modo mostrato in quei periodi.

E’ anche da cio’ che prendono avvio processi di distrazione di (e della) massa da convinzioni progressive e un tendenziale orientamento verso la ricerca di decisioni purchessiano, verso richieste di pragmatismo e soprattutto di ricerca di soluzioni semplici e positive, che scaccino paure e timori di complessità , paure e timori di regressione, peraltro inevitabili in tale contesto di incapacità .

E’ il ritorno di un certo (e felice?) edonismo che proprio negli anni ottanta cominciò a fare breccia nei rapporti intrinsechi della formazione economico-sociale attuale (?).

E’ anche e soprattutto a tale riguardo che vanno imputate responsabilità  politiche non indistinte alla coalizione di centro sinistra che comunque ha governato il Paese negli ultimi anni (1996-2001/2006-2008) e per la quale la riforma della legge urbanistica e un nuovo modello di governo del territorio, dell’ambiente e delle fonti energetiche, nonché delle città , è stato materia completamente assente dai propri programmi. Cio’ ha causato uno scollamento tra processi reali di evoluzione dei sistemi locali e capacità  di governo della nuova domanda sociale, inceppando quel rapporto storico tra le forze progressiste e i ceti urbani (cosiddetti).

Nichilismo

Vi è dunque la necessità  di sbloccare la paralisi economica in cui la comunità  locale e nazionale si ritrova. Questo stato delle cose sta creando diverse situazioni di pericolo, oltrechè inibire una coesione di orizzonti europei, e di obiettivi comuni tra il nostro paese e il resto dell’Unione. Nel citato intervento precedente si cercava di indicare al governo dell’ente locale una via di lavoro per elaborare tecniche di recupero del debito pubblico, e contemporaneamente di smobilizzo di risorse che nel medio/lungo periodo potessero sbloccare la paralisi. Oltrechè approfondire alcuni aspetti tecnici per i quali è possibile ipotizzare un programma di raccordo politico tra bilancio comunale e urbanistica della città , e dunque tra programma di mandato di una amministrazione e effettive politiche realizzative, qui interessa anche evidenziare alcuni fenomeni che negli ultimi vent’anni (?) si sono affermati in quanto pratiche di corrente gestione delle trasformazioni territoriali e urbane, ma anche come rovescio della medaglia della paralisi suddetta.

Definiamo per comodità  tali pratiche  ‘nichilismo di città ’, proprio a significare la affermazione diffusa di azioni di negazione consapevole della città  a vantaggio di azioni di breve periodo per la soddisfazione di domande contingenti e spontanee, esenti da una visione progressiva di governo dei processi che siano sorretti da obiettivi di qualificazione del tenore e del livello di vita della propria comunità . Come già  affermato, siamo in presenza di una paralisi economica delle capacità  di governo locale. Tale situazione ha creato per un verso assenza di capacità  di risposta di lungo periodo al divenire complesso dei rapporti sociali, e peraltro ha provocato una pratica di breve respiro per offrire comunque soluzioni.

La inadeguatezza del ruolo di governo delle attuali classi dirigenti locali (e nazionali vieppiù), peraltro a tutti evidente, ha creato insofferenza diffusa e ricerca di soluzioni hic et nunc! La paralisi va sbloccata, le risorse devono essere liberate, poiché esse esistono e sono ‘dormienti’, un ruolo programmatico e di respiro va riacquisito nel governo locale e regionale e ovviamente alle scale più ampie.  In questa dimensione si indicano come ormai non solo necessarie ma inevitabili alcune riforme e azioni politiche che nuove classi dirigenti prima o poi si intesteranno, con un certo pericolo di accentuato leghismo delle soluzioni.

Una riforma della legge del 42 in tema di pianificazione, una riforma di sistemi locali di governo, una riforma della contabilità  generale pubblica2 (degli Enti locali in primo luogo) nuovi sistemi di semplificazione amministrativa, utili a produrre processi più celeri di acquisizione di decisioni e orientamenti e così via. In tutto ciò l’urbanistica, intesa come pratica di progettazione delle trasformazioni fisiche della città  e del suo territorio, (intesa cioè come sempre è stato) diviene e riacquista una dimensione disciplinare oltrechè politica di primaria grandezza nella costellazione strumentale del governo locale.

E’ infatti con e attraverso tale disciplina che possiamo tentare di dare una ‘visione di progetto’ alla città  e contemporaneamente assumere obiettivi economici e sociali di sviluppo e di realizzazione di risorse. Risorse che rappresentano un valore aggiunto locale, che a sua volta può essere impiegato sia per il recupero del debito pregresso, sia per nuovi investimenti. Per un verso è facile mostrare come il consolidamento e l’abbattimento del debito pregresso liberi progressivamente sempre più risorse e peraltro come tale liberazione generi a sua volta nuovo valore patrimoniale ed economico nel sistema locale, non solo in quello pubblico. Infatti la possibilità  di generare risorse può aiutare politiche di contenimento fiscale locale e dunque favorire nuove vivacità  economiche dei nostri sistemi insediativi. Il ciclo si avvia virtuosamente, naturalmente in un arco di tempo che non può essere breve, ma di medio e lungo periodo e tuttavia immediatamente misurabile.

Come si evince dalle sommarie e sintetiche tabelle, la paralisi è consistente, il blocco economico che il Paese-Italia sopporta (fino a quando â¦) e supporta con le proprie performances, è non solo rilevante, ma rischia di oltrepassare una boa di non ritorno. Nell’intervento precedente su queste stesse pagine, si è cercato di mostrare come una riclassificazione dei bilanci degli Enti Pubblici Locali e un loro rapportarsi diretto a politiche urbanistiche attive e orientate avrebbe potuto mettere in moto un programma di rientro del debito pregresso.

Qui è forse utile approfondire sia i modi tecnici di tale rapporto sia alcuni elementi che possono svegliare ‘patrimoni dormienti’ e dunque riappropriare l’Ente di sue risorse, di quella che definiamo una propria ricchezza potenziale.

Se dunque si può sostenere che l’Ente locale è in grado di rigenerare una propria ricchezza da poter mettere a servizio di investimenti istituzionali di cui si deve occupare e che tale rigenerazione può essere propriamente figlia in gran parte di politiche urbanistiche orientate a tale obiettivo, si può altresì affermare che l’urbanistica diviene forma concreta di leva finanziaria ma anche leva essa stessa di politiche di sviluppo progressivo, piuttosto che di azioni economicistiche tout court che come abbiamo accennato all’inizio portano a fenomeni di nichilismo della città , a effetti di disurbanesimo e dunque di dis-connessione sociale e territoriale. Vi è infatti da annotare che anche nella tecnica urbanistica e di pianificazione possiamo elencare, come in economia e in altre discipline, propri elementi fondamentali che aiutano a comporre griglie di valutazione sulla sostenibilità  o meno di modelli di esercizio della stessa disciplina. I nostri fondamentali possono essere qui intesi come fattori che determinano i valori territoriali ed economico-sociali di un sistema insediativo per i quali si può operare una ‘due diligence‘ dei connotati insediativi e dunque definire verifiche degli apparati di governance. Il tutto allo scopo di accertarne la corrispondenza a modelli progressivi o meno di azione politica e programmatica.

Le nostre due dilegence del sistema territoriale e/o insediativo dovranno fare i conti con parametri (fondamentali) del tipo di quelli più sotto menzionati.

Nichilismo della città  è per noi la pratica diffusa nei recenti anni, secondo cui la pianificazione urbanistica è strumento di espansione dei cespiti economici pubblici che l’Ente locale incamera ai fini di sostegno finanziario del proprio bilancio, in assenza di politiche di struttura che riformino sia la contabilità  pubblica sia la gestione del debito pregresso che ormai ha reso evidente la paralisi del Comune. La pratica viene operata e governata con una accelerata e ampia azione di aggiudicazione al mercato immobiliare di suoli di tutti i tipi e generi (agricoli certo, ma anche ambientalmente inidonei, o vincolati, ovvero aree di riserve per grandi infrastrutture, fasce di rispetto, zone sismiche o franose, zone dimesse e utili a scopi pubblici, eccâ¦) per una rigenerazione della ‘cosa’ urbana che urbana non è, mentre annichilisce la città  vera, quella non solo storicamente determinata ma anche quella di cui avremmo bisogno e che non viene costruita3. Il fenomeno dunque, sorretto dalla necessità  impellenti, hic et nunc, di fare cassa, va producendo effetti collaterali di impoverimento generalizzato degli organismi urbani, anche di quelli più pregiati e dichiarati â¦ ‘patrimonio dell’umanità ’. Siamo infatti di fronte a processi di auto annientamento urbano di cui saremo chiamati a rispondere entro pochi decenni, nel momento in cui non vi saranno più margini di rientro dal debito pubblico e il default sarà  nelle cose più che negli atti formali. Non è infatti ignoto il fenomeno per cui ad ogni realizzazione di nuova quantità  urbana corrisponde un pagamento all’Ente pubblico di una ‘tassa’, gli oneri di urbanizzazione e costruzione. Tali risorse vengono bruciare nella caldaia del debito e peraltro usate per fare fronte a necessità  immediate, mentre lo stock di reti e urbanizzazioni, servizi e attrezzature, impegni infrastrutturali e così via aumenta in termini dimensionali con ritmi assolutamente ineguali all’introito di risorse.

Questo patrimonio andrà  infatti piano piano aggiunto a quello esistente e farà  così parte di quella necessità  di manutenzione, ammodernamento e riconversione che ogni materiale del genere comporta, tanto che non solo non vi saranno risorse adeguate a quello scopo, ma non vi saranno risorse neppure per ammortizzarne l’uso sociale, in quanto capitale fisso. Il debito locale aumenta per: gravame di interessi passivi che sommano il capitale, gravame per aumento di capitale da impiegare, gravame per attività  correnti a causa dell’espandersi dell’organismo urbano. Le risorse a parità  di cespiti diminuiscono vistosamente e soprattutto entro un tempo breve.

La ricchezza delle nazioni (locali)

La questione dunque che qui si vuole evidenziare, pur se per sommi capi e con talune elaborazioni un po’ rozze, ma per l’occasione riteniamo abbastanza eloquenti, è come governare da un lato il debito pubblico locale pregresso e peraltro le nuove necessità  di spesa e di investimento che aree complesse e mature, avanzate e dotate di una ricchezza elevata come la nostra (pianura padana) comportano.

Riteniamo che un raccordo diretto e non casuale, tra bilancio d’esercizio e strumentazione urbanistica4, possa dare luogo a qualche elemento di riflessione e di novità  anche per i comportamenti fin qui assunti da gran parte degli Enti locali a tale riguardo. Ragioni di impellenza, necessità  e urgenza spesso hanno infatti indotto i nostri Comuni (ma anche il resto della P.A. allargata) a cercare di ‘fare cassa’ subito. Fare cassa viene solitamente inteso come uso dei margini fiscali che lo Stato Centrale lascia al sistema locale ovvero a smobilizzo di edifici e beni non più ‘funzionali’ all’Ente Pubblico Locale. In taluni casi si procede a dare corso a ‘società  patrimoniali’, a STU, e a soggetti simili, tentando di ‘esternalizzare’ debito nuovo da quello pregresso. In tutti questi casi è assente sia una riflessione di ampio respiro sulle politiche necessarie e sui programmi di sviluppo locale, sia una verifica degli strumenti anche innovativi a disposizione, per cui si ‘preferisce non lasciare la strada vecchia per quella nuova’. Siamo qui tuttavia per fare qualche ipotesi in positivo, e non per negare ragioni altrui. Pertanto illustriamo di seguito alcuni schemi di valutazione di merito del rapporto debito/patrimonio/ricchezza potenziale, che possono aiutare a riflessioni più ampie. Gli schemi che riportiamo, sono quadri che suppongono un lavoro da fare. Un lavoro di approfondimento non generico, ma puntuale e assumendo competenze specifiche, utile a orientare le simulazioni che i dati possono consentire.

Il primo schema riguarda una ipotesi di riclassificazione del bilancio dell’Ente Pubblico, secondo schemi civilistici dello stato patrimoniale al 31/12 di ogni esercizio e del relativo conto economico.

Sembra banale, tuttavia nella contabilità  del Comune, non appaiono cespiti passivi e attivi che aiutino a capire qual’è il suo stato complessivo. Il bilancio di solito rende conto di come si sono usate le risorse (entrate e uscite) nell’esercizio, senza capire quali effetti hanno prodotto (es.: impieghi in partecipazioni che hanno dato utili, ovvero perdite, impieghi in interessi passivi che sono dedotti da risorse per altri usi, entrate che possono essere previste per taluni esercizi e non per altri, eccâ¦). In particolare nel nostro schema, si evidenziano alcune poste che sarebbero molto interessanti ai fini di un ‘rating‘ del Comune e di una sua ‘spendibilità ’ complessiva: lo stato del patrimonio, i crediti pluriennali sui cui si può contare, la potenzialità  di rigenerare demanio pubblico, le partecipazioni. Come è noto alcuni Enti locali vivono di utili distribuiti da partecipate quotate.

Il secondo schema tenta di analizzare quali capacità  ha il Comune di rigenerare patrimonio. Ciò avviene principalmente tramite gli strumenti urbanistici, che impongono cessioni gratuite sia di risorse liquide (oneri di urbanizzazione primarie e secondarie)e standards (aree e/o edifici). Le potenzialità  di investimento che il PRG comporta sono direttamente proporzionali a tale capacità  rigeneratrice.

Il terzo schema tenta di impostare una riflessione sul patrimonio che c’è e su quello che potrà  esserci (cfr schema 2 precedente). Nello schema si evidenzia come una riclassificazione del patrimonio può generare risorse potenziali, e dunque qual’è la più attendibile capacità  di investimento e di recupero di debito pregresso. Cio’ consente di ipotizzare un ‘piano industriale pluriennale per l’azzeramento del debito’ del Comune, senza leve fiscali. Anzi diminuendo leve man mano diminuisce il debito, che libera risorse da passività  diverse. Inoltre lo schema ipotizza un conto di costi e ricavi sul patrimonio, su quello in particolare che difficilmente può essere impiegato per progetti di diversificazione e/o trasformazione (es.: beni ambientali, culturali, eccâ¦).

Il quarto schema allarga il discorso alle pertinenze locali di un patrimonio del sistema pubblico allargato con cui è possibile comporre progetti inter-istituzionali di vasta portata.

Il quinto schema, ancora con riferimento alla previsioni del PRG, cioè alla definizione di politiche di sviluppo che il Comune ha assunto, tenta di affiancare il privato (o altro pubblico) intendendo questo come partner di un programma di investimenti. Cio’ consentirebbe di verificare un ulteriore fattore-veicolo di generazione di ricchezza locale disponibile, o comunque potenziale.

Il sesto schema infine si sofferma su un altro capitolo che appare ancora sottostimato nelle valutazioni patrimoniali della dote di ricchezza detenuta dal Comune: le reti. Reti costruite e gestite nel corso di almeno 30/40 anni, oggi spesso in parte conferite in ex Municipalizzate o in società  di scopo, il cui conto economico non è più a disposizione del proprietario originale.

Note

1  Notiziario Archivio O. Piacentini, n° 11,12  dell’Aprile 2008

2  Si veda a questo proposito il volume ed. Il Mulino, 2007 AA.VV. Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà  pubblica.

3  Ugo Baldini e Patrizia Chirico.

Concentrazione e rarefazione insediativi, tra regolazione urbanistica e manutenzione ambientale in Emilia Romagna e nelle Regioni padane: fare meglio con meno (suolo).

Per un territorio, come quello della Valle Padana, dove, in termini di acqua e di suolo, si concentra gran parte della risorsa strategica del Paese e dove è presente un apparato economico-produttivo e una struttura urbana tanto estesi e consolidati da qualificare quest’area come uno degli aggregati ‘megalopolitani’ di maggior rilievo nel panorama continentale e globale, il consumo di suolo emerge come tema centrale e come indicatore sensibile della salute urbanistica dei territori, come misura empirica del contributo che la pianificazione urbanistica riesce a dare ai problemi di recupero di efficienza del Paese, in una fase che registra un preoccupante declino della attenzione dedicata dalla politica ai temi del governo urbanistico del territorio e, corrispondentemente, una riduzione sensibile delle risorse ad esso destinate.

4  Si veda il recente dispositivo della L. 06.08.2008, n. 133 art. 58.

5  La tabella tenta di descrivere quale potrebbe essere il potenziale di nuovo capitale fisso e nuova liquidità  che il PRG vigente produrrà  per i prossimi 10 anni per il Comune. Un Comune, ad esempio, che abbia stabilmente 30.000 abitanti e vede incrementare con il suo PRG la capacità  residenziale di altri 5.000 abitanti potrebbe calcolare che acquisirà  standards in aree per almeno 30 mq x 5.000 = mq 150.000 cioè a dire 15 ha. Qualora questi terreni fossero accorpati e dunque costituissero un ‘bene’ a tutti gli effetti valorizzabile, il Comune potrebbe ipotizzarvi un programma di impiego, naturalmente fatte salve le compensazioni di standards nell’ambito comunale. Il nostro terreno dunque, acquisito per diritto urbanistico a costo zero, ha valore catastale se mantenuto a verde pubblico, ha valore edificabile se riclassificato per alloggi pubblici, ha valore di libero mercato se riclassificato cedibile o impiegabile per programmi non vincolati a logiche pubbliche. Vi è a questo proposito da dire che molti comuni emiliani hanno standards urbanistici in esubero rispetto agli abitanti insediati reali (e anche per quelli turistici si presentano fenomeni analoghi). Ciò è dovuto a politiche di lungo corso che ormai da tre/quattro decenni si sono realizzate con costanza. Le nuove ipotesi di sviluppo urbanistico, possono dunque anche contemplare una riclassificazione di tali esuberi, rendendoli disponibili a manovre di bilancio per una loro valorizzazione più congrua ai tempi. Azioni di valorizzazione che produrranno comunque altri standards e dunque una ri-generazione ulteriore di patrimonio.

6  La classifica catastale di beni immobili, conosciuta e censita, può consentire verifiche di opportunità  (es.: trasferimento da agricolo a urbano) e congruità  con lo stato effettivo degli usi e/o delle classifiche urbanistiche.

7  Il valore di mercato è ovviamente oscillante e opinabile. Tuttavia una ri-classifica periodica con stima giurata consente di valutare una prima differenza di  ‘messa a cespite’ su patrimoni che ad esempio non sono altrimenti ‘commercializzabili’ (es.: vecchia scuola di frazione, ovvero edificio specializzato come ‘sostegno idraulico’ o casermette su canale consorziale, ovvero altro simile).

8  Il ruolo urbanistico dell’area o dell’immobile consente di capire quale valorizzazione e quale potenza commerciale il bene può esprimere. Ad esempio aree dimesse da riconvertire a terziario ovvero a edilizia pubblica o ancora aree da bonificare o no e così via.

9  La stima di valorizzazione può essere una simulazione finale di valore ricavabile da azioni di trasformazione (in cui bisogna comprendere naturalmente i costi di trasformazione). In questo senso si può immaginare che: un terreno di Ha 1 oggi agricolo con classifica edificabile per terziario o ricettivo abbia valore:

catastale 10, urbanistico 25, di mercato 50, dunque deducendo i costi di valorizzazione (es.: 10) il valore effettivo che potremmo imputare al nostro ettaro è 40, con differenza 30 sul valore oggi a bilancio.

10 Concessioni diverse possono intendersi:

* tributi per parcheggi o soste o passi carrai;

* esazione di tikets per parcheggi o soste o passi carrai;

* concessioni temporanee di aree e/o edifici per usi vari;

* altro simile.

Per rendite finanziarie si potrebbero intendere riparto di utili da partecipazioni su società  pubbliche o miste (es.: distribuzione utili da una S.T.U., ovvero da una ex municipalizzata per usi di spazi e/o immobili pubblici).

11  Anche con una certa leggerezza di intenti, ci siamo disposti a una qualche interpretazione utile ai ragionamenti qui esposti, da offrire come             ulteriore gruppo di temi da approfondire.

I. Finanza sofisticata: Si parla ormai spesso di ‘prodotti finanziari’ offerti dal mercato alla sfera pubblica. La recente rivisitazione del cosiddetto Codice degli Appalti ha ulteriormente affinato alcuni di questi prodotti e le relative procedure. Noi le citiamo solamente. Decreto legislativo n. 113, 31/07/07: Ulteriori disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, recante il Codice degli Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture a norma dell’articolo 25, comma 1, della L: n. 62, 18/04/05. Per il cosiddetto project financing si vedano il Capo III artt. 152 fino al 160. Per la concessione si veda il Capo II, artt. 142 fino al 151. Per i fondi di investimento immobiliare si veda l’art. 19 del Codice degli Appalti citato, comma d) e l’art. 3, che definisce le amministrazione aggiudicatici. Da tali definizioni appare non compreso il fondo da cui potrebbe dedursi che è escluso dell’applicazione del Codice degli Appalti.

II. Patrimonio pubblico: Il Patrimonio pubblico, in particolare quello del Comune, agli effetti dei ragionamenti qui esposti, è dato da:

* il programma di legislatura della Amministrazione;

* azioni e programmi di coesione locale;

* elenco dei progetti;

* risorse e quadro dei beni disponibili.

Quanto al programma di legislatura, si deve rimarcare il suo ‘valore di impianto’ della capacità  di prospettare scenari e obiettivi alla comunità  locale (oppure no!). Questa attrattività  del programma e basilare ai fini di un coinvolgimento di stakeholders in una azione corale di sviluppo locale. Le azioni e programmi di coesione sono di riflesso i modi concreti con cui si ritiene di realizzare i progetti. Si pensi ai NO-TAV per un verso ovvero al sistema RSU Campano, come deficit di democrazia e coesione, ovvero alla variante di valico dell’Appennino tosco-emiliano sull’A1, come esempio di azioni di concertazione. L’elenco dei progetti è dunque non un ‘libro dei sogni’ ma diviene il puntuale articolarsi di un programma di legislatura coeso e attrattivo e dunque capace di acquisire partnership (ppp, pf, eccâ¦). La sistematica definizione della consistenza delle risorse disponibili e delle risorse consentirà  di attivare le azioni utili al programma e dunque anche di dimensionare la capacità  di impiego potenziale.

III. Concertazione: La concertazione è qui intesa come in parte sopra si è esposto. Si vuole tuttavia evidenziare la necessità  per cui azioni concertative abbiano obiettivi di attrazione dall’esterno di investimenti privati e pubblici. Tale capacità  è data soprattutto da una ‘politica estera’ del Comune.

IV. Valorizzazioni patrimoniali: Abbiamo usato questi termini con disinvoltura. Valorizzare un bene vuole significare molte cose, soprattutto nella sfera pubblica. Non necessariamente significa ‘guadagnarci sopra’. Tuttavia anche questo. E su ciò è necessario soffermarsi. Il Comune spesso dispone di svariati tipi di beni, e ne accumula ulteriori come già  esposto. E’ dunque necessario progettare un sistema di azioni che valorizzino oggettivamente i beni con usi e destinazioni efficaci, ai fini del loro ruolo pubblico. Laddove cio’ non è, è possibile ritenere che ‘progettando’ programmi di trasformazione, e, perché no, realizzando tali programmi, si possa acquisire una plusvalenza utile a nuove opportunità  per l’Ente locale. A tale riguardo si deve aprire una riflessione che ogni realtà  locale specificherà  con propri connotati, attorno ai modi di intraprendere azioni di realizzazione di valorizzazioni patrimoniali. Indichiamo qui le principali azioni. Una prima è il conferimento dei beni (ad esempio le reti) in ex Municipalizzate o simili, come HERA, AEM, ovvero di risorse in società  (AEROPORTO, FIERA, eccâ¦). Altra opportunità  è la costituzione con altri Enti di Fondi di Investimento Immobiliare (ovvero di SIIQ). A tale riguardo va detto che tutte le Comunità  locali dovrebbero attivare strumenti di questo tipo, in grado di raccogliere anche risparmio privato e dunque di essere uno di quegli strumenti utili al programma di legislatura come sopra si è cercato di mostrare. Altre forme di valorizzazione sono direttamente legate al PSC, cioè alle politiche urbanistiche e ai programmi integrati di trasformazione e sviluppo di parti di città , cioè ad attività  immobiliari tout court.

12 Si può ritenere che il Comune intenda realizzare i progetti del PRG (PSC, oggi) con i Privati o Altri Enti Pubblici. E’ quindi necessario capire se ciò può essere immaginato tramite la costituzione di soggetti attuatori autonomi e di scopo il cui capitale netto sia formato da conferimenti dei ‘soci’, e che poi tale soggetto operi mettendo a valore il suo capitale, aumentando le capacità  liquide di mobilitare risorse per realizzare quel progetto.

13 Solitamente la strumentazione urbanistica del Comune indica i grandi progetti strategici che l’Amministrazione intende realizzare. Esempio classico sono la circonvallazione, la nuova area artigianale, il nuovo porto turistico, la fiera, il nuovo quartiere residenziale pubblico, eccâ¦

14 Il valore dell’investimento potenziale che il soggetto autonomo può immaginare consente di verificare non solo la differenza tra un patrimonio oggi non utilizzato adeguatamente e una sua rivalutazione dovuta a una diversa collocazione, ma anche eventuali ‘utili’ che il soggetto potrà   distribuire ai suoi soci, tra cui appunto annoveriamo il Comune. Utili sia economici, sia sociali !

15 Anche le reti sono un bene valorizzabile e dunque da inserire in un ipotetico piano di aggressione del debito pubblico locale. In particolare si può affermare che gran parte delle reti sono beni già  ammortizzati, e comunque in grado di auto/finanziarsi. Inoltre poiché le previsioni del PRG solitamente inducono nuove porzioni di città  a rinnovarsi e ad estendersi, le reti vengono immediatamente ad essere il primo bene realizzato dal ‘lottizzante’ e ceduto gratuitamente al Comune. Il Comune dunque ri-genera un patrimonio a costo zero in questo caso. Se si paragona questo fenomeno alle grandi reti (es.: telefonia) ove si discute di separare rete da servizio, è evidente come nel nostro caso il Comune si doti di un bene che può ‘affittare’ o ulteriormente collocare sul mercato finanziario, il cui costo è pari a zero e soprattutto si auto-genera, in parte anche con interventi sulla manutenzione. Ancora una volta si mostra come gli indirizzi del PRG siano potenziali fattori di esaltazione o recupero del debito e dunque incidano sulla fisionomia del bilancio comunale, riclassificandone la manovra in senso positivo/negativo.

Nichilismo di città 2011-01-14T17:23:55+00:00

Urbanistica e valorizzazione del patrimonio pubblico

Ragioni di cautela nella proliferazione di poteri pubblici per interventi diretti nel mercato immobiliare Quando si afronta la questione della valorizzazione del patrimonio pubblico locale (ppl) la prima verifica appare la definizione dell’obiettivo di tale azione. Cioè lo scenario di bilancio (uso istituzionale delle risorse pubbliche locali) che si intende perseguire. Anteporre a tale obiettivo, come spesso accade, la realizzazione di strumenti societari e/o finanziari derivati (es.: STU, Agenzia di Sviluppo, Società  Patrimoniale, eccâ¦) è spesso deviante rispetto al fine stesso della loro ideazione. E’ infatti poco approfondita una riflessione attono alla vita (di come vivono) di questi strumenti. Con ciò si intende infatti segnalare la necessità  che gli strumenti in questione siano usati per fini specifici, dunque abbiamo un termine entro cui realizzano tale scopo. Diversamente si trasformano in macchine complesse e poco gestite per i fini originari, e di più per autoreferenza. Quanto poi al loro contributo a concorrere a una azione di contenimento e/o riduzione del debito pregresso dell’ente locale/genitore, vi è molto da dubitare. Le partecipazioni a tali società  sono spesso infruttifere e non consentono, oltre l’immobilizzo finanziario, politiche di bilancio che allarghino la base dei cespiti, la capacità  di manovra dell’Ente/genitore. Spesso le Società  Patrimoniali (SP) in particolare, hanno l’obiettivo di evadere il patto interno di stabilità , ma non aumentano la ricchezza potenziale dell’Ente originante. In secondo luogo la SP è spesso indirizzata a compiere interventi che non creano ricchezza o valore aggiunto, piuttosto tendono a coprire spazi che l’Ente originante non è in grado allo stato attuale di colmare. E’ il caso della gestione di servizi sociali a fondo perduto (manutenzioni stradali, pubblica illuminazione, nuove reti di fognature, manutenzioni di aree verdi, parchi e giardini pubblici, eccâ¦) o dove i cespiti che possono derivare dagli investimenti appaiono molto al di sotto delle capacità  di ammortamento. L’obiettivo iniziale dunque, lo scenario di governo del bilancio, è fondamentale ai fini della definizione degli strumenti. Tant’è che nella cultura evoluta contemporanea si pensa alla assoluta in-utilità  di strumenti derivati di scopo come quelli sopra menzionati. L’obiettivo quindi dovrebbe essere in prima istanza una manovra di bilancio che, sia nella sua impostazione tecnica sia nei suoi contenuti istituzionali di gestione delle risorse, modifichi e qualifichi la propria struttura afnchè si possano liberare risorse aggiuntive da azioni specifiche, utilizzabili sia verso una riduzione più accelerata di debito pregresso (quindi diminuendo passività  finanziarie) sia verso nuovi investimenti. Collaterale a questi obiettivi viene da se’ una possibile riduzione di imposizione fiscale locale. Quest’ultima questione, dovrebbe peraltro essere afrontata anch’essa in un piano parallelo pluriennale. Infatti è anche con una riduzione della fiscalità  che possono essere sostenuti i consumi e dunque aumentati i trends di creazione di PIL locale. Nel caso di una Provincia, (ma cio’ vale anche e di più per il Comune) si può pensare a un concerto con gli altri Enti locali per una prima impostazione del tavolo di bilancio riclassificato, allargabile al resto della P.A. che a livello locale detiene patrimoni e beni diversi. Il concerto con i Comuni (e tra essi) è infatti rilevante al fine di una amministrazione coordinata di strumenti urbanistici, utili alla cosiddetta ri-generazione di patrimonio. Sono infatti i Comuni che hanno potestà  in merito. La Provincia, spesso definita Ente intermedio di programmazione, ha certo un proprio bilancio e un proprio patrimonio, ma non ha leve di gestione diretta per la sua valorizzazione sul territorio. Il concerto dunque e il coordinamento con altri patrimoni pubblici come quelli dei Comuni, può a tale riguardo rappresentare la prima azione “politica” da impostare, e cio’ vale al contrario per il Comune. Una seconda azione è la riclassificazione del bilancio. Un riposizionamento delle poste secondo criteri civilistici che superi il concetto entrate-uscite accogliendo la ripartizione conto economico/ stato patrimoniale (e noi diciamo gestione di competenza ovvero finanziaria). Si avverte in tutto cio’ che alienazioni tout court di patrimoni sono un imperdonabile errore tecnico ed economico oltrechè politico ed istituzionale. Una azione di valorizzazione deve poter contare su un vasto articolato patrimonio, verso il quale operare con cautela, anche se alineazioni, permute, ri-acquisti eccâ¦ sono parte di tali valorizzazioni. Vi è dunque in primo luogo da dare obiettivi di risanamento e sviluppo dello stato delle risorse pubbliche locali. Tali obiettivi dovrebbero consistere come in altre realtà  civilisticamente regolate, nel realizzare avanzi di amministrazione, cioè utile d’esercizio (detto anche nella PA “avanzo primario”), al fine di poter misurare il valore aggiunto prodotto in termini sociali, in termini di capitale fisso, ma anche in termini economici. Quanta ricchezza produco con la mia attività  istituzionale? La sostenibilità  economico-sociale cioè di politiche di bilancio dovrebbe guidare tutta l’azione istituzionale propria dell’Ente pubblico. Si può dare il caso a tale riguardo che il nostro Ente abbia oneri e incombenze tali che non possa per un certo periodo di tempo realizzare avanzo primario. E’ proprio in tale evenienza che mettere mano sia alla riclassificazione delle strutture contabili, sia a politiche di valorizzazione dei patrimoni può consentire di inserire voci di ricavo aggiuntivo al conto economico, ma anche voci di attività  aggiuntiva nello stato patrimoniale. Questi “ingressi” non saranno “una tantum”. Infatti la componente “valorizzazioni” diventerà  una posta di bilancio costante, che potrà  incrementare anche significativamente la capacità  di realizzare avanzo primario dell’Ente, dunque tutte le altre azioni conseguenti. Fare avanzo primario significa realizzare “accantonamenti”, incrementare il patrimonio. Quest’ultimo infatti nella nuova versione del bilancio così riclassificato, assumerà  una ragione diversa da quella che oggi rappresenta (spesso appunto come beni di alienare per fare cassa e punto). Il patrimonio infatti avrà , così riordinato, anche funzioni di afdabilità  dell’Ente, di definizione di un suo “rating”, ma anche una capacità  di potenziale ricchezza ulteriorimente realizzabile e così via. Una volta riclassificato il bilancio anche (ma non solo) sulla base dei valori economici che il patrimonio potrà  realizzare, si potrà  naturalmente procedere a impostare le azioni di valorizzazione finalizzate agli obiettivi definiti in sede politica (nuovi investimenti, rientro graduale e/o accelerato dal debito pregresso, riduzione della fiscalità  e così via). E’ allora che si imporrà  sulla base della potenzialità  “azzardata” della ricchezza dell’Ente, una analisi degli strumenti e della loro efficacia rispetto agli obiettivi. E non viceversa, come spesso accade. Da questo punto di vista, afermare quel’è il potenziale economico che può essere messo in campo da una epoca di investimenti pubblici, diverrà  la forza attrattiva verso partners pubblici e soprattutto privati perché si afanchino a tale programma, condividendone frutti e soddisfazioni reciproche. L’obiettivo di questo annuncio pubblico è non la nostra afdabilità , ma soprattutto la capacità  di attrarre altri capitali e risorse sui nostri investimenti. Dunque accelerare l’impiego di risparmio difuso in investimenti socialmente utili ma anche remunerativi. Il panorama locale ofre solitamente diverse situazioni e articolate condizioni di potenzialità  d’investimento. Come si è già  detto nel nostro caso potrebbe essere di qualche riflessione l’oggetto dell’articolazione di un programma di valorizzazioni patrimoniali concertate tra Provincia e resto della P.A. locale (USL compresa ad esempio). La Provincia in questo caso potrebbe attivare programmi distinti ma coordinati di valorizzazioni di patrimonio, attivando le politiche di riclassificazione interna dello stato economico dei Comuni e degli altri Enti (ad esempio i Consorzi di Bonifica, le USL, alcune fondazioni e così via) per coordinarle con le proprie riclassificazioni e avviando appunto programmi di investimento tramite una complessa azione di valorizzazione congiunta di tutti i cespiti patrimoniali locali. Sulla natura del patrimonio immobiliare pubblico Il patrimonio pubblico, specialmente quello dei Comuni, ha alcune particolarità . Una di esse è la riproducibilità , un’altra è la dimensione che solitamente, specie nelle residenze, è riscontrabile con volumi significativi. Un’altra ancora è il suo rapporto con le politiche di bilancio che l’Ente mette in campo o meno. Una ulteriore è data dalla particolarità  delle reti, solitamente in capo alle (ex) municipalizzate, ma che la legislazione richiede di scorporare dalle gestioni. Vediamo alcune questioni, utili ai nostri ragionamenti. La riproducibilità  del patrimonio è qui intesa come crescita continua e stabile dell’asset comunale a seguito di politiche urbanistiche che l’Ente mette in atto. Un Comune che abbia regolarità  di strumenti urbanistici e di gestione corrente dell’edilizia privata (rilascio di permessi a costruire, approvazione di Piani urbanistici ecc.), può senz’altro impostare una politica di selezione e qualificazione del patrimonio ceduto ad esso in conto di oneri di urbanizzazioni, standards, di convenzioni e diritti e così via. In questo modo il Comune avrà  una risorsa autonoma di riproduzione del proprio patrimonio. Ciò può consentire ipotesi di politiche di bilancio sul medio-lungo periodo. Una seconda caratteristica è la dimensione. Solitamente una città  di medie dimensioni italiana (50.000/150.000 abitanti) si trova a disporre di qualche migliaio di alloggi (ex IACP ecc.), di aree dismesse, relitti vari e terreni. La dimensione di questi patrimoni può essere un fattore competitivo per l’impiego di una “massa critica” minima che valorizzata può a sua volta comportare una capacità  di smobilizzo forse non sempre quantificabile, o comunque immaginabile della Amministazione. Una terza caratteristica delle capacità  di accumulazione patrimoniale del Comune è l’uso dell’esproprio. Il Comune può espropriare aree per usi pubblici a prezzi (una volta agricoli) certamente di favore e soprattutto con elisione di rendite di posizione, ma a sua volta il Comune può reimpiegare quegli asset in politiche più complesse, dunque valorizzare i parametri di usabilità . L’apprezzamento dell’asset pubblico riceve così una spinta a contribuire al valore complessivo con montanti più consistenti di quanto esso è costato per l’acquisizione. Una ulteriore caratteristica degli asset pubblici è il loro stretto legame con la storia amministrativa dell’Ente. Laddove il Comune (o il consorzio di comuniâ¦) ha realizzato reti energetiche diverse, nel corso degli anni, il patrimonio che esse rappresentano può essere riclassificato in quanto detentore di possibili atti di concessione d’uso e dunque di cespiti per l’afitto a operatori (pubblici o privati) titolati alla gestione. Tali cespiti sono conferibili in fondi, ovvero in linee programmatiche di bilancio utili a garantire solviblità  dell’Ente locale a fronte di investimenti di lungo periodo. Tutto quanto sopra può a sua volta essere impiegato e orientato a realizzare politiche di medio periodo per il recupero del debito pregresso che l’ente locale oggi sopporta con sempre più difficili condizioni finanziarie, e peraltro contribuire a una politica corrispondente di riduzione del carico fiscale su imprese locali e cittadini, sostenendo in tal modo i consumi e dunque realizzando politiche di sviluppo di PIL locale.

Debito e sviluppo La finanza locale conosce oramai da qualche anno nel nostro paese una situazione di grave criticità , per il riflesso che le politiche di risanamento hanno generato, scaricando sui bilanci degli Enti locali parte cospicua delle manovre di contenimento della spesa pubblica e, contemporaneamente, per la domanda, incomprimibile ed anzi crescente, di servizi e prestazioni cui da luogo una società  in rapida e profonda trasformazione come quella italiana dei primi anni del nuovo secolo. Una situazione sempre più stringente alla quale gli Enti locali cercano di far fronte con un complesso di manovre che agiscono, non sempre senza inconvenienti, sulle leve tarifarie e fiscali, ma anche sui processi di sviluppo urbano (alimentando i bilanci in parte corrente con quote crescenti di entrate per Oneri di Urbanizzazione) e sulle condizioni del patrimonio pubblico, con politiche di alienazioni e privatizzazioni. E’ tuttavia possibile intendere il patrimonio pubblico frequentemente poco conosciuto, oltre che poco valorizzato, non solo come un’ancora di salvezza la cui dismissione può fornire, in ultima istanza, quelle risorse finanziare che urgono per tamponare situazioni congiunturali, ma come una vera e propria leva strategica su cui operare attraverso processi di valorizzazione per conseguire importanti risultati non solo in termini finanziari ma anche di sostegno allo sviluppo delle comunità  locali e di implementazione di nuove politiche sociali. Processi che possono trovare la loro massima efficacia quando vengono sviluppati contestualmente e in stretta sinergia con la pianificazione urbanistica, sviluppandone e valorizzandone appieno, così, una impronta strategico strutturale. Si può per questo parlare di un vero e proprio tema di “finanza della pianificazione”. Cioè di modi per cui sia possibile generale, tramite le pratiche di pianificazione, risorse aggiuntive per la sfera pubblica (in particolare per i Comuni), senza aggravi (e anzi con significative possibilità  di riduzione) degli oneri e della pressione fiscale che oggi gravano sugli operatori e sui cittadini. Di particolare interesse parrebbe quindi una riflessione e un confronto su questi temi nell’attuale circostanza in cui la Regione Emilia Romagna sta promuovendo una messa a punto della legislazione urbanistica regionale finalizzata ad obiettivi di qualità  sociale e di efficienza. Il problema che si vuole afrontare è appunto quello di valutare come valorizzare patrimoni pubblici e generare risorse finanziarie utili anche alla riduzione del debito locale (non solo dei Comuni ovviamente, ma ad esempio anche di ASL ovvero di ACER, e così via), tramite gestioni patrimoniali, pratiche concertative, istituzione di nuovi strumenti finanziari appropriati e innovativi e così via. Anche le politiche di bilancio, e la stessa struttura del bilancio del Comune, potrebbero e dovrebbero a tale riguardo essere orientate da approcci di pianificazione strategica, a partire da una riconsiderazione del conto del patrimonio e tramite una sua riclassificazione, e perché no, anche attraverso procedure di “quotazione”, con attribuzione di “ratings”, ovvero istituendo borse immobiliari utili alla perequazione, non più solo locale, ma di vasta scala (almeno regionale?). Finanza della pianificazione Accogliendo le ragioni di necessità  che impongono modifiche e integrazioni alla legislazione vigente le Regioni sembrano anche intenzionate ad “aggiornare” il loro impianto normativo con alcune opzioni più incisive in talune questioni. Aldilà  di tali opzioni, peraltro tutte interne e conseguenti l’elaborazione storica che si è prodotta in materia, appare colta solo in parte l’occasione per una ulteriore riflessione generale in ordine alla necessità  di afrontare fenomeni e processi, che in generale il sistemaItalia ha di fronte. Non cogliere l’occasione può essere una scelta politica e istituzionale, ma può anche testimoniare una fase di imbarazzo culturale a nuove elaborazioni, che una nuova disciplina urbanistica nazionale dovrà  comunque non eludere, e che in altre sedi hanno già  trovato enunciazioni compiute. Innanzitutto andrà  sottolineato come, aldilà  dei tecnicismi istituzionali/pianificatori, la legislazione vigente non afronti il tema della possibilità  realizzativa che il sistema delle istituzioni locali (Regione compresa) si trova a dover afrontare, rispetto a un quadro di necessità  pianificatorie che ancora rischiano di realizzarsi tramite “varianti”, e dunque in diformità  (sostanziale o meno) dai progetti di impianto che gli atti di pianificazione comportavano. Ci riferiamo cioè a un mancato raccordo stretto tra intenzioni di piano e governo concreto e diretto di processi di trasformazione e sviluppo che l’assetto pubblico oggi deve afrontare. Più chiaramente, appare ancora una separazione tra il piano delle scelte programmatiche/urbanistiche e il piano della economia reale. Il nodo è cioè la produzione e riproduzione di risorse pubbliche a sostegno dello sviluppo, dunque il loro impiego per realizzare quelle intenzioni di piano prima accennate. Un secondo scenario che appare ancora debole, è costituito da taluni fenomeni che, anche tecnicamente, ormai la disciplina urbanistica e di pianificazione di area vasta ha assunto come criterio generale di valutazione per gli orientamenti e le scelte da assumere nelle cosiddette intenzioni di piano. Le leggi regionali infatti, appaiono generalmente applicate a un territorio che non ha connotati propri, ma quasi a un territorio e a processi di evoluzione economica tout court senza contesto (storico e fisico). Diremmo applicate a territori virtuali. Esistono cioè nel territorio fatti urbani/fatti territoriali, siti economici e così via ove non è più pensabile una politica urbanistica generale (e tendenzialmente generica). Vi sono cioè ragioni di scala del piano, e ragioni di complessità  delle relazioni in campo che non possono essere afrontate se non con altrettanti strumenti di scala e complessità  di interlocuzione. Anche in questo caso la legge urbanistica di solito non afronta direttamente i processi di saturazione, di sviluppo, di declino e così via che aree significative della regione subiscono (hanno subito, subiranno) con strumenti di concertazione e accentuazione di risorse, di relazioni, di elaborazione. E’ in atto un dibattito molto esteso e articolato attorno alla mancanza di risorse pubbliche, utilizzabili per lo sviluppo. Sviluppo di politiche per le infrastrutture, per le reti, per la ricerca, per l’ambiente e così via. Risorse da spendere, da impiegare a titolo di investimento in nuovo capitale fisso sociale. Il patrimonio degli enti pubblici viene dunque ormai indicato come una risorsa che può essere spesa, valorizzata, alienata e dunque utile a generare risorse. Grava peraltro un debito pubblico di dimensioni ciclopiche che impedisce di liberare risorse (il debito del sistema pubblico locale è stimato in 100 miliardi di euro). Tutto ciò, raccordato a politiche di pianificazione territoriale e urbanistica potrebbe consentire di mettere in campo sistemi di riproduzione automatica e rinnovata di patrimoni pubblici, da destinare a impieghi produttivi, tramite politiche di valorizzazione, sia con strumenti esistenti in dote alla legislazione vigente, sia con strumenti innovativi di tipo finanziario, sia facenti capo al sistema pubblico sia a quello privato. Le ragioni di pianificazione non possono essere indistinte dalle ragioni di governo del miglioramento della qualità  della vita dei cittadini e contemporaneamente tali ragioni hanno necessità  di sorreggersi di risorse sia pubbliche sia private. Risorse pubbliche laddove solo il pubblico è in grado di afrontare taluni nodi. Risorse private ove non solo l’utile e l’ammortamento di un investimento sono realizzabili, ma anche ove ampi spazi del pubblico possono essere dismessi, come appunto l’housing sociale, le reti, la gestione finanziaria di beni culturali e/o ambientali, e così via. In tale quadro si può afermare che gli indirizzi regionali di pianificazione dovrebbero raccordare tali azioni a una griglia dei meccanismi della formazione delle risorse pubbliche tramite il piano, proprio tentando di raccordare intenzioni a capacità , necessità  a possibilità . Sarebbe un passo avanti. Già  i meccanismi di perequazione vanno in questa direzione. Tuttavia non appaiono sufficienti allo stato delle finanze pubbliche, in via di accelerato peggioramento. Come finanziare grandi infrastrutture, grandi riconversioni, come reggere la gestione di grandi vincoli, come afrontare programmi sociali di grandi dimensioni (housing appunto, scuole e trasporti, restauri e beni culturaliâ¦). Non vi sono a nostro avviso e a tale riguardo tentativi apprezzabili di approfondimento attorno a quel raccordo, che prima si è accennato, tra politiche di piano e politiche di finanza pubblica, tra dimensioni urbane dei fenomeni e valorizzazione di patrimoni pubblici (o privati) per un loro rapporto di virtuosa interazione e capacità  di suscitare nuove risorse. Sia la perequazione, sia la riproduzione di patrimonio pubblico data da politiche urbanistiche, potrebbero infatti costituire tema di disposizioni normative che incentivino la creazione di ricchezza, ma anche di concorrenza e apertura al (e del) mercato immobiliare regionale. Ciò potrebbe dar luogo ad esempio ad una Borsa Immobiliare Regionale (cfr. Regione Lombardia). Proprio in virtù dei ragionamenti precedenti, si potrebbero immaginare più ampie opportunità  di pianificazione e gestione dei rapporti con il privato, articolando pur per sommi capi, talune forme di parternariato nella formazione e attuazione degli strumenti di pianificazione. E ancora, proprio con riferimento a quanto già  evidenziato circa la non neutralità  del territorio (regionale) rispetto alla legge di pianificazione dello stesso, e alla necessità  di afrontare taluni fenomeni maturi dell’assetto territoriale (declino, sviluppo, saturazione), il riconoscimento di una potestà  regionale per la pianificazione di “corridoi” ovvero di “sistemi”, ovvero di “reti”, ovvero di “eccellenze” e così via che fanno la diferenza soggettiva di un’area regionale rispetto al resto del paese, sarebbe forse un atto che andrebbe assunto in termini normativi, oltrechè politici.

La ri-generazione della ricchezza potenziale locale Come si è cercato di evidenziare, il Comune è un soggetto pubblico che ha capacità  di “arricchirsi” autonomamente con azioni di tipo politico. Infatti la sua azione politica in campo urbanistico consente di generare diversi cespiti (cioè fonti di ricchezza). E’ ovvio che ormai si dice urbanistica, ma si intende qualcosa di ben più complesso articolato e vasto, quanto a difusione di azioni, soggetti, campi di intervento e così via. Non vi è dunque un primato dell’urbanistica in senso stretto, quanto un primato vero della politica. Se questa infatti è orientata a collocarsi su progetti di lungo respiro e con obiettivi di sviluppo (civile e sociale ma anche economico) della sua comunità , allora le politiche di bilancio possono essere adeguate con strumenti utili a quegli obiettivi. Sembrano, e sono, afermazioni semplici e banali, e tuttavia non appaiono nel senso comune e nelle pratiche quotidiane di semplice realizzazione. Richiedono infatti competenze, ma soprattutto consapevolezza del potenziale che la strumentazione che è oggi in dote consente. Certo vi sono procedure e regole complesse, normative e contesti giuridici che vanno attentamente sondati e utilizzati, anche border line, ma assumendo obiettivi di lungo respiro. Il Comune dunque può ri-generare risorse da mettere a disposizione sia di azioni di recupero del debito pregresso, sia di azioni a servizio dello sviluppo, del welfare locale e così via. Le leve patrimoniali sono come detto: * politiche urbanistiche * progetti concertati e partnership specifiche * valorizzazioni patrimoniali di beni già  in dote * politiche di valorizzazione di reti locali A queste simulazioni della ricchezza potenziale e della potenziale capacità  di impiego 1 si dovranno afancare due strumenti principali di governo di tutto il processo. Il primo riguarda una rinnovata stagione di elaborazione dei temi dello sviluppo compatibile con i connotati del sistema insediativo locale, per capirci indirizzi e obiettivi del nuovo PSC che non è più uno strumento che regola i permessi di costruzione, ma organizza politiche. Il secondo una strumentazione sofisticata in tema di politiche finanziarie abbinate al PSC. Anche il Comune deve fare finanza, su una economia potenziale di cui potrà  disporre. Da questo punto di vista il Comune riassume ruoli e protagonismi inusitati di principale soggetto locale anche economico, di principale motore di economia reale e non più di economia di trasferimenti (pubblici). Se quindi già  abbiamo accennato a talune insufficienze dei testi di riforma urbanistica sia regionali (compresa quella emiliana), sia nazionali, compresa quella recente del gruppo parlamentare dell’Ulivo, altrettanto si deve osservare quanto alla difusione di una cultura finanziaria evoluta in sede locale. Ma di ciò si potrà  discutere con elementi certi alla mano, dopo avere lavorato a una analisi specifica dei patrimoni e accertato la bontà  delle nostre elaborazioni. Valorizzazioni di filiera Se dunque l’obiettivo dei ragionamenti è come ridurre il debito pregresso dell’Ente locale e liberare contemporaneamente nuove risorse senza ricorrere a leve fiscali, ma anzi progressivamente riducendone l’impatto sul PIL locale sostenendo viceversa redditi delle famiglie e tenore dei consumi, e se il patrimonio in senso lato (capitale fisso sociale più propriamente) di livello locale può rappresentare una delle leve di questo obiettivo, se tutto ciò è alla base di un programma di verifica della sua attendibilità , è possibile allora ritenere che vi siano anche progetti di filiera, cioè sistemi di valorizzazioni che possono assumere caratteri autonomi nel mazzo delle politiche locali. Autonomie che possono contribuire agli obiettivi suddetti, con proprie logiche di afermazione, con diverse capacità  urbanistiche di pianificazione locale. E’ il caso dell’impiego delle reti (catasto delle stesse, attribuzione di valore nominale, impiego su tecniche di finanza) è i caso di azioni concertative pubblico/pubblico, pubblico/ privato, è il caso dell’edilizia pubblica (housing sociale più nobilmente definito). Non è qui l’occasione di approfondire i singoli processi e le ipotesi di lavoro che li presiedono. Tuttavia si può accennare a talune ulteriori opportunità  che tali programmi possono indurre, influenzando le capacità  di investimento pubblico, come detto a costi zero. Una politica di valorizzazione immobiliare, può ad esempio essere messa in atto per qualificare il sistema ricettivo locale, senza che ciò implichi investimenti pubblici tramite opere o tramite incentivi e contributi ai privati. Altrettanto potremmo dire di talune infrastrutture. Citiamo i cablaggi, cioè le reti informatiche in senso lato. Tali infrastrutture possono essere realizzate con concessione a privati e gestite da privati, ovvero rappresentare l’opportunità  per arricchire la capacità  di trasporto di reti diverse già  esistenti (es.: rete principale di fognatura da afittare al cablaggio). Quanto all’housing sociale sono già  in atto diverse esperienze (Umbria, Lombardia, altri) che in diversi modi afrontano il rinnovo e lo sviluppo di edilizia residenziale pubblica con tecniche di finanza sofisticata (P.F., Fondi di investimento, permute perequative, defiscalizzazione, eccâ¦). Concludendo, si potrebbe afermare che, una volta compresi sia le procedure di valorizzazione, sia la dimensione che tali azioni possono realizzare nel territorio locale, è possibile allora lanciare un programma pluriennale di medio periodo che abbia come obiettivo la riduzione del debito pubblico e contemporaneamente un programma di nuovi investimenti. E, guarda un po’, è ancora l’urbanistica la tecnica levatrice di un possibile new deal locale.

Gli impieghi potrebbero essere classificati come: * spesa per funzionamento proprio dell’Ente; * investimenti per lo sviluppo locale; * welfare, cioè spesa per sostegno al livello di vita locale. Gli impieghi dovrebbero essere calcolati al netto della capacità  di rientro dal debito, al netto delle spese per manutenzione del patrimonio, e al netto delle spese per azioni di valorizzazione del patrimonio stesso. In sintesi di potrebbe afermare che il Comune ha capacità  di investimento se”guadagna”da una sua attività  industriale.

Urbanistica e valorizzazione del patrimonio pubblico2008-09-03T15:58:32+00:00
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