La formazione
L’attività ecclesiale di Osvaldo Piacentini si colloca in un contesto civile e religioso segnato da un grande fermento rinnovatore.
“Egli si aprì, ancora giovanissimo, al magistero esigente di alcuni preti, che portano i fermenti più vivi della chiesa reggiana: don Dino Torreggiani, il prete dei ragazzi, dei giovani del sottoproletariato e degli zingari; don Mario Prandi, il creatore di un geniale modo di “Casa della Carità “; il cappuccino santo, padre Daniele, cappellano degli infermi all’ospedale; la madre Giovanna, operatrice amorosa di opere assistenziale ed educative, estese poi a tutta l’Italia.
Da essi Osvaldo apprenderà ben presto non solo l’amore per i poveri e gli emarginati di ogni sorta, ma quel che ancora più conta l’amore per la povertà e il rifiuto della ricchezza, come scelta di vita, e ancora la capacità di scrutare con occhio analitico e insieme appassionatamente concreto, le ingiustizie, le irrazionalità , le deformazioni, le ipocrisie del nostro sistema sociale” (G. Dossetti).
La sua formazione spirituale giovanile lo vede quindi coinvolto in esperienze tra le più significative della terra reggiana: l’oratorio cittadino di S. Rocco e l’Istituto Artigianelli, attraverso la guida spirituale di don Dino Torreggiani e don Mario Prandi.
In quegli anni egli sperimenta l’accoglienza verso gli ultimi, verso i più poveri, e questo fa maturare in lui quel senso di giustizia sociale incentrata sull’uomo e sulle sua necessità di vita che lo contraddistinguerà anche nella sua successiva attività professionale.
L’incontro con Dossetti e la sua vicinanza nella vicenda umana e spirituale durante gli anni della ricostruzione fanno maturare in lui la consapevolezza che l’azione politica per un cristiano è la chiamata “all’incarnazione nel mondo che si presenta alla Chiesa diverso ogni giorno nella sua evoluzione; incarnarsi nel mondo significa rispondere all’attesa che ci si faccia tutto a tutti nella vita comune di ogni giorno attraverso un atteggiamento nuovo nei confronti della professione, della vita di comunità nella quale viviamo, nella vita del mondo stesso”.
Piacentini quindi fa esperienza di quella chiesa già portatrice in sè dei segni di rinnovamento, pienamente letti ed espressi attraverso la lungimiranza di papa Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II, di cui egli scriverà molti anni dopo: “gli anni di papa Giovanni e del Concilio furono anni luminosi e pieni di grazia”.
Il matrimonio con Liliana Bussi costituisce la piena risposta alla ricerca giovanile, ed è realizzazione di una vocazione ad una vita sponsale ma intrecciata con la storia di altri uomini, nella percezione di una Provvidenza che ci guida attraverso l’obbedienza alle comuni vicende umane, per trovare in esse il senso spirituale della propria vita.
Del suo matrimonio egli scrive ai genitori: “Non abbiate timore, sono sempre stato lucidissimo in questi tempi, ma una convinzione cosi forte, una sicurezza come ora non l’ho mai avuta e, assieme a questa, tutto mi si fa chiaro, la mia vocazione, il mio futuro, una nuova umiltà unita alla pienezza del mio essere che tutto, anima, intelligenza, volontà , senso, tendono ad un solo fine: il mio voto di fedeltà perpetua che pronuncerò venerdì mattina davanti all’altare.
Vi parlo in termini religiosi perché quello che vivo non è un sentimento, ma una adesione vera alla volontà di Dio con tutto il mio essere”.
Il matrimonio di Piacentini avviene il 6 gennaio del 1956, giorno in cui nasce la Piccola Famiglia dell’Annunziata di Giuseppe Dossetti, e viene celebrato nella chiesa di S. Giacomo a Reggio Emilia, alle sette del mattino, per permettere novelli sposi di partecipare alla cerimonia dei primi voti della Comunità di Dossetti, a Bologna, nelle mani del cardinale Lercaro.
Dopo la morte di Osvaldo, trent’anni dopo, don Giuseppe Dossetti mostrerà alla famiglia un santino sul quale Osvaldo promette obbedienza a don Giuseppe ed ai suoi successori nella Comunità , confermando e allo stesso tempo anticipando che il matrimonio cristiano è una diversa espressione dell’unica consacrazione alla vita in Cristo; vita sponsale, quindi, che si colloca appieno in un proprio carisma, diverso da quello dei consacrati ma anch’esso testimonianza della comunione di Cristo con la Chiesa.
Il carisma di Piacentini non è il carisma dell’uomo che ha delle certezze e quindi guida gli altri, ma il carisma di chi si mette in ascolto dell’altro, sa leggere i bisogni ultimi dell’uomo e li reinterpreta alla luce della fede.
E’ il carisma di chi si interroga continuamente in questo ascolto.
Un piccolo esempio di ciò ci viene dal ricordo degli utilmi mesi d’ospedale, quando il suo vicino di letto d’ospedale, che aveva letto per diversi giorni la Gazzetta di Reggio, gli chiese se poteva acquistare l’Unità ; lui, dopo averlo rassicurato, si interrogò sulla grande responsabilità dei cristiani nell’aver creato una barriera tra sè e gli altri uomini, auspicando che fosse giunto il tempo di una piena riconciliazione.
Tutta l’opera ecclesiale di Piacentini fu permeata da questo amore verso i fratelli (amore anche esigente, con se stesso prima che con gli altri) e per questo motivo fu un’opera partecipata. Sarebbe ingiusto scorporare l’opera ecclesiale (ma anche l’opera professionale) di Osvaldo dal contesto, dagli affetti, dal luogo in cui essa si colloca.
Le due cooperative di cui parla Dossetti, la Cooperativa Architetti e Ingegneri da un lato e la Cooperativa Edilizia “18 Giugno”, il Viallggio di Nebbiara, interpretano il bisogno di una comunità , di un gruppo, di esprimere in modo nuovo la professione, la vita quotidiana, le scelte educative verso i propri figli. Osvaldo sa dare voce a questi bisogni e sa raccogliere attorno a sé le migliori risorse di ciascuno per la costruzione di un’idea.
Le Sacre Rappresentazioni nascono ad esempio dall’ascolto dei più piccoli, non solo dei propri figli, che si erano riuniti in un garage per dare vita ad un presepe vivente; questo bisogno viene raccolto in modo serio, non viene liquidato come idea infantile: l’opportunità di fare qualcosa di grande viene spostata in una dimensione ecclesiale raccogliendo nel progetto le potenzialità di ciascuno, falegnami, sarte, elettricisti, esperti di musica.
Così pure i canti, la catechesi sulla Parola, le diaconie, le Eucarestie domestiche, furono momenti di grande crescita ecclesiale perché ciascun membro della comunità si sentiva accolto e valorizzato nel proprio carisma: bambino, giovane, coniugato, anziano.
La passione e la dedizione per la Liturgia erano espressione di questo grande abbraccio: la Messa doveva essere il luogo, preferenziale sopra ogni altro, in cui chiunque trovava la sua collocazione: i giovani con la musica, i fanciulli con i piccoli servizi (gli strumenti a percussione, le processioni offertoriali, le omelie per i piccoli che curava personalmente), gli sposi che simbolicamente portavano il pane e il vino all’altare come espressione della loro fatica e rinuncia a se stessi, ma anche come vocazione speciale alla comunione all’interno della Chiesa.
Tutta la pastorale ruotava attorno all’Eucarestia, nella scelta categorica (e condivisa dai più) di non aggiungere altro alla Parola e l’Eucarestia, uniche sole risposte alla vita in Cristo.
Ma anche le altre iniziative (sempre pregate, costruite assieme ad altri, nella ricerca continua di una risposta mai preordinata) erano espressione di una paternità e fratellanza allargata a feconda, portatrici quindi di un significato ulteriore rispetto all’azione stessa.
“La Parola di Dio crea, converte ciascuno di noi, giunge inaspettata quando meno siamo disponibili ad accoglierla, ci rinfranca quando siamo alla ricerca del Signore, ci conduce lungo la strada che Lui ha predisposto per ciascuno di noi.” O.Piacentini
Il Diaconato ministeriale
Nel 1969 Osvaldo Piacentini aderisce alla Comunità del Diaconato in Italia.
Negli anni successivi seguirà e parteciperà attivamente al lavoro di sperimentazione, studio e preparazione della rinascita del Diaconato permanente, al seguito dell’amico don Alberto Altana.
“Nel ministero del diaconato permanente conferito ai laici, come era stato nel Cristianesimo dei primi secoli, Osvaldo Piacentini vede una strada per la realizzazione di una Chiesa che sia veramente espressione del popolo di Dio”.
I suoi scritti al riguardo sono numerosi e tutti importanti; in essi egli mette in guardia dai rischi di trionfalismo e clericalismo che la restaurazione del diaconato permanente può correre, insiste sulla cura che va posta nella formazione dei candidati, si avvicina con interesse e rispetto alle esperienze degli altri paesi”.(Dossetti)
Nel 1973 la Comunità parrocchiale del Preziosissimo Sangue designa Osvaldo Piacentini come candidato al diaconato permanente, insieme a GianPaolo Cigarini, Oreste Ferrari e Lorenzo Tagliaferri; inizia così il cammino che li porterà , nel 1978, all’ordinazione diaconale per le mani del Vescovo Gilberto Baroni.
Nel 1979 i quattro diaconi si offrono di lasciare la loro parrocchia di origine per andare ad aiutare due parrocchie limitrofe; dopo una estrazione a sorte, i diaconi Piacentini e Tagliaferri vengono trasferiti rispettivamente nella Parrocchia di S.Giuseppe e in quella del Sacro Cuore a Reggio.
In S.Giuseppe Piacentini eserciterà il suo ministero diaconale fino alla fine, particolarmente attento alle fasce più povere della popolazione, agli emigrati africani e meridionali ed alla formazione delle giovani coppie in preparazione al matrimonio.
Il diaconato è la piena espressione di questo servizio legato alla vita concreta degli uomini, la creazione delle comunità ecclesiali di base (diaconie) in cui il “vicinato” assume il valore della provvidenza in cui la Parola di Dio e il servizio ai fratelli si mescolano alla vita quotidiana delle persone; luoghi in cui la fede è vissuta nella comunione in obbedienza al territorio inteso come Provvidenza di Dio per la vita di ciascuno.
“Buttar via il tempo. Cercare e organizzare ai giovani il modo di far [venire] l’ora di cena, cioè passare il tempo, cioè bestemmiare il tempo, dono prezioso di Dio che passa e non torna. Io preferirei esser visto peccare gravemente, ma subito esser visto anche pentirmene e correre a confessarmi, piuttosto che indifferente a un peccato veniale.
Ma è poi veniale quando diventa regola di vita?”
L.Milani
Il carisma di Piacentini sta quindi anche nell’accoglienza delle realtà “altre”, è un partecipare alla vita del fratello nell’ascolto rigoroso di ciascuno e nella rigorosa ricerca comune di una risposta, mai banale e mai precostituita, allontanando da sè ogni retorica ed ogni “intento didattico”.
La morte di un uomo che spesso lo aspettava davanti all’ufficio per chiedergli l’elemosina è per lui occasione di una profonda riflessione sulla sua vecchiaia e sulla sua morte.
Questo aspetto di Osvaldo, che Dossetti chiama “amorosa convivenza”, ha permeato tutta la sua vita ed ha accompagnato la sua morte.
E’ il territorio quindi il luogo in cui la vita cristiana non viene vissuta come un attività da svolgere o un movimento cui appartenere, ma come accoglimento dell’altro, comunione con la sua vita, che Dio ci mette accanto per la nostra redenzione.
“E qui sta la radice di alcune delle sue intuizioni più innovatrici e più feconde: non solo dal punto di vista strettamente professionale ma anche dal punto di vista più ampiamente culturale, civile, ecclesiale, ossia: l’importanza enorme del territorio e delle comunità insediate su di esso; la diffidenza verso le aggregazioni e i movimenti verticali; la prevalenza civile dei quartieri nella città ; la prevalenza ecclesiale della parrocchia; la funzione innovante, anche da un punto di vista sociale, di un ristabilimento del diaconato e la sua criteriologia sulla quale i contributi, orali e scritti, di Osvaldo saranno molti, e tutti di somma importanza.”
G.Dossetti sr. (1988)
Il Concilio Vaticano II
“Quando poi venne il Concilio, le aspirazioni di questa gente (della Parrocchia del Preziosissimo Sangue a Reggio Emilia ndr) trovarono una piena risposta, e nuovi incentivi a portare avanti un discorso già incominciato, sul modo di intendere e vivere oggi la religione e di nutrire i figli dei valori in essa contenuti.
Una cosa soprattutto era chiara già da prima: che la vita di una comunità cristiana si incentra sull’ascolto della Parola di Dio e sulla frazione del Pane.
“Qui, in fondo, chi guida tutto, sono gente sposata con figli – mi osserva uno di loro – gente che lavora da mattina a sera.”
Ciò li portò fin da principio a non perdersi in attività complicate o inutili, ma a puntare sull’essenziale.
E le due cose che ritennero subito essenziali furono appunto la Sacra Scrittura, cioè la Parola di Dio, e la liturgia. “Non dice forse un canone della messa: “Adoriamo Cristo, tua parola vivente?” Portiamo dunque Cristo vivente fra noi, e lui mostrerà a ognuno il disegno divino sulla sua persona.
La liturgia, inoltre, ha già risolto molti quesiti teologici in discussione, e ci porta a mettere subito nella pratica le verità del Concilio: essa è infatti vita spirituale, alla portata di tutti, bambini e adulti, colti e non colti.”
Su queste basi lavorarono sodo, si consultarono col parroco, e ne riferirono al vescovo ogni volta che pensarono a qualche innovazione, “per essere nell’obbedienza”. Ma ciò che mi ha più affascinato, in questa parrocchia nuova di periferia impostata sullo spirito dei Concilio, è il fatto che tutto è nato e tutto continua a crescere non perché qualcuno ha imposto dall’alto qualcosa; ma tutto viene dalla base, sono i cristiani più preparati che portano avanti le cose spontaneamente, e con una carica di impegno che una volta si poteva trovare solo in qualche sacerdote di punta. Né lo fanno in termini di contestazione, ma in unità . à una presa di coscienza che fa pensare.” G.BOSELLI, in CITTA’ NUOVA (1969)
“Credo sia molto difficile oggi, per i cattolici delle nuove generazioni, comprendere quale sia stato l’impatto di innovazioni e di speranze che la grande ispirazione di Giovanni XXIII e poi lo svolgimento del Concilio hanno prodotto nell’esistenza stessa dei giovani cattolici di allora. Specie se animati da una fede con aperture al sociale e alla democrazia, tanti giovani dossettiani, lapiriani, focolarini hanno visto aprirsi e svolgersi il Concilio come un salto di qualità nelle loro esperienze della Chiesa.
Qualche idea era venuta anche prima del Concilio dalla migliore cultura teologica e filosofica francese veicolata dai “professorini” della Cattolica.
Ma poi venne la full immersion, anche per merito di quell’Avvenire d’Italia di Raniero La Valle che ci calava quasi ogni giorno nell’evento inaspettato e sempre più ricco di aperture. Per molti di quei giovani, anche per quelli che non ebbero la ventura di vivere a Bologna gli anni dal 1962 al 1968, con vescovo Giacomo Lercaro e vicario don Giuseppe Dossetti, strategico “perito” del suo cardinale al Concilio, due punti focali furono subito prevalenti: il rinnovamento liturgico e la fiducia nella ricerca e nel mutuo aiuto fra Chiesa e mondo, per la pace e per la giustizia tra i popoli. ”
A. Ardigò (2000)