“…poi il sacerdote ofrirà il sacrificio espiatorio e e compirà l’espiazione per colui che si purifica della sua immondezza, quindi immolerà l’olocausto” Lv 14,21.
Puro e impuro: e il rusco dove lo metto? La visione biblica di un cosmo decaduto a causa del peccato da uno stato di primigenia “purità “, e dal quale è necessario purificarsi per entrare nei luoghi del sacro, fornisce l’etimologia e naturalmente non solo quella al concetto di “immondizia” o immondezza: “ciò che è immondo, il contrario di mondezza e pulizia, dal latino mundus” 1. Da notare, in quella medesima concezione, al contempo etica ed estetica, che tutto quello che ci dà anche solo vagamente l’idea di corruzione e di morte (anch’esse una conseguenza del peccato di Adam) entra necessariamente nell’orbita di ciò che è “immondo”, e che come tale ha la proprietà di contaminare anche quello che è mondo. Molto più prosaica, la parola “spazzatura” indica quello che rimane dopo avere pulito: sarebbe l’emiliano “rusco” che in termine dialettale suona”ròsc”. L’esperienza degli antichi, che con l’immondizia hanno avuto a che fare tanto quanto noi, e non solo gli ebrei, se persino ai tempi delle palafitte i villaggi dovevano spostarsi quando la convivenza con i loro stessi rifiuti diveniva insopportabile (le terramare oggetto di studio di Gaetano Chierici 2, prima di lui utilizzate come fertilizzante), ci consente di sgomberare subito il campo dai miti e dagli spropositi neo-romantici o neo-bucolici del riciclo/recupero totale 3: con la monnezza bisogna fare dei conti precisi e trovare delle soluzioni percorribili; da semplice sacco da gettare essa può trasformarsi in enorme ed informe mostro avviluppante e paralizzante, Neapolis docet.
Entropia e economia: lanciati a folle corsa nello spreco di risorse e di energia sofochiamo nei loro sottoprodotti Le leggi della termodinamica, altrettanto ferree come quelle divine, e, al contrario di quelle, sperimentabili “scientificamente” (per la teologia biblica è molto grave “tentare/provare” Dio, sarebbe come avere su di Lui una sorta di “potere”, al quale Egli si sottrae deliberatamente) ci indicano, in senso più generale, che ogni trasformazione energetica genera degrado e sottoprodotti non voluti, sotto forma di calore e di disordine; più al nostro sistema forniamo input energetici più otteniamo disordine, perdite energetiche e sottoprodotti vari ovvero monnezza di cui il calore (effetto serra!) è solo uno degli effetti fisici indesiderati. Nella civiltà dell’energia è quindi necessario investire molte risorse nella purificazione e nella ramazza non essendo possibili gli spostamenti tipici dell’età del bronzo; e questo accade in proporzione dell’energia immessa nei cicli produttivi. Un diverso ordine di considerazioni, di tipo specificatamente economico, è concorrente ad indicare e giustificare le montagne di rifiuti che nottetempo i nostri netturbini fanno sparire: l’appartenere al nord opulento del mondo ci privilegia ingiustificatamente dal punto di vista della sproporzionata disponibilità di materieprime,che nonpaghiamoperquellochevalgono: o perchè direttamente o indirettamente in mano nostra, o per qualche forma di retaggio neo-coloniale, o perchè “scambiate” nella bilancia del pagamenti dei paesi terzi con prodotti tecnologicamente avanzati (fra cui le armi). Chi è stato, per esempio, in Cina, sa bene che buttare anche solo un bicchiere di plastica (operazione per noi consueta) consente di trovare immediatamente qualche raccoglitore assai poco schifiltoso.
Quanti”sacchi” sono? Una pluriennale esperienza di lavoro nel Corpo Forestale dello Stato nel settore consente a chi scrive di esprimere qualche valutazione di merito sulla situazione dei rifiuti nel nostro paese 4. Di veramente recuperabile da RU 5, a parte la frazione organica di cui si dirà , c’è carta, vetro, plastica (con limitazioni) e i metalli. I conti sono presto 6 fatti: ogni italiano produce quasi 550 Kg di rifiuti (RU) ogni anno, dei quali la percentuale di recupero può essere circa un quarto, senza arrivare al terzo. Percentuali maggiori, riferibili al nord del paese, solitamente nascondono in realtà il fatto che si aggregano al recuperato o recuperabile gli “assimilabili” agli urbani, come ad esempio gli imballaggi di cartone dei supermercati, che poco o nulla hanno a che vedere con la monnezza vera, ma che sono per loro natura pienamente recuperabili in un qualche circuito di lavorazione della carta. Questo consente di facilitare le procedure logistiche e giuridiche di recupero e di immettere direttamente al recupero senza passare da un impianto autorizzato materiali “standard” più vari: carte e cartoni, mobili, abiti usati, ecc. Aumentare gli “assimilabili” recuperando di più, dal punto di vista statistico incrementa le percentuali di recupero, ma aumenta proporzionalmente i Kg/procapite/giorno di rifiuto urbano, e da qui la confusione che regna sui conti e la diferenza anche notevole fra provincie, ma della quale è detto più sotto con due città – esempio.
Due città a caso Il confronto dei dati fra due città prese “a caso” nel panorama nazionale, la prima fra quelle a minore produzione di rifiuti pro capite e la seconda fra quelle a maggiore, la prima al sud e la seconda nel nord, ci consente di esemplificare i casi (ma non sono casi limite) entro i quali si compendiano, a vario grado, le 100 città italiane. Napoli, una delle città singolarmente (sigh!) a minore produzione pro capite di rifiuti nel panorama nazionale, nel 2005 produceva 520 Kg di rifiuti a persona, dei quali meno del 10% derivanti dalla raccolta diferenziata, diciamo più o meno 40 Kg. L’indiferenziato rimanente, circa 480 Kg, è quello che potremmo chiamare il “sacco nero”: più leggero a motivo del peso analogo del reddito pro capite (ci si pensa su due volte prima di dire: butto e poi ricompro) e per la capillare difusione, nella città campana, di esercizi e mercati nel settore della distribuzione che limitano non solo gli imballaggi 7, ma anche gli sprechi di sostanze alimentari 8. Per contro questa città fa poco o nulla per la raccolta diferenziata: quasi tutto finisce nel cassonetto. Reggio Emilia, invece, “diferenzia” in modo spinto, anche per l’impegno costante di amministratori, tecnici, e municipalizzate: le proiezioni 2007 9 indicano quote da capogiro: quasi il 50% di raccolta diferenziata, ma la produzione di rifiuti pro capite “passa” a 760 Kg, più di una volta e mezza quella partenopea. L’indiferenziato pro capite di Reggio Emilia, al netto della raccolta diferenziata, risulta perciò “solo” di 70 Kg inferiore a Napoli, 410 contro 480 Kg/giorno, attestandosi su un “nocciolo duro” difficilmente intaccabile, quello dei fatidici 1.1 Kg/g a persona 10.
Ma compost da cosa? Mi ricordo la favola dei lombrichi, che venivano allevati per “digerire” i sottoprodotti, e che venivano venduti ad altri che iniziavano l’allevamento. Poi anche questi li rifilavano ad altri… C’era una volta un re… Nessun agricoltore che non voglia lucrare sui rifiuti anziché lavorare guadagnandosi il pane col sudore della fronte porta sul suo campo dove coltiva roba da mangiare quello che avanza della sua pattumiera, e tantomeno di quella degli altri, per quanto meravigliosamente compostato e maturato 11; né si è mai visto allevare gerani sul terrazzo con un terriccio che sia eterogeneamente troppo sospetto: il compost commerciabile è in realtà quello proveniente da raccolta diferenziata: residui di potatura, residui industriali, frazione umida di RU separato alla fonte, ecc. O, a voler essere veramente alternativi, quello prodotto nel giardino di casa: perfetto contrappasso della sindrome NIMBY 12. In quest’ultimo caso, per ottenere un rapporto corretto carbonio/azoto, sarebbe addirittura necessaria una frequente spruzzata di urea, anche questa di fonte naturale, com’è facilmente intuibile dalle assonanze. Di “digestioni anaerobiche” bisognerebbe parlare solo con la discrezione con cui si menziona solitamente l’ultima porta a destra: ricordano troppo da vicino per forza di cose: il processo è il medesimo quello che avviene nei nostri visceri, ed anche i suoi sottoprodotti solidi, liquidi ed eterei sono poco simpaticamente analoghi. La FOS (frazione organica stabilizzata) proveniente dal compostaggio “industriale” degli RU indiferenziati (cioè procedimenti di lavorazione e separazione del contenuto dei “sacchi neri”) è normalmente utilizzata per ricoprire periodicamente la monnezza tale e quale nelle discariche, mentre sopra e sotto questo strato “pulito” vi giace anche la frazione non recuperata (anche oltre il 50%), proveniente, anch’essa, dagli impianti di compostaggio: siamo davvero sicuri che valga la pena di investire tanto in termini di energia, di tempi, di impianti, di trasporti per ottenere questo, anche idealmente, ben misero risultato? La spinta alla produzione di compost è costituita in realtà dai contributi e soprattutto dalla fortissima detassazione, anche oltre l’80% della tarifa, di cui godono i rifiuti derivanti dai processi di recupero, spesso ottenuti in settori borderline ed in “zone grigie” non normate: la Regione Emilia Romagna solo nel 2006 ha introdotto una percentuale “minima” di recupero per ottenere lo sconto di tarifa, e di consueto non è l’ultima regione italiana a entrare nel merito. Una domanda è più che lecita: ma alla fine chi paga?
Porta a porta: se Vespa inquina l’etere bisognerebbe diferenziarlo alla fonte La forma più efficace di recupero, nel campo degli RU, è quello alla fonte: educativo, efficace, reale. In questo caso, tutta la frazione organica diventa potenzialmente recuperabile in compost, ma solo a prezzo di un aumento considerevole dei costi della gestione delle reti di raccolta e, naturalmente, di un certo incremento del disagio individuale e collettivo nella gestione quotidiana del problema dei rifiuti: il “porta a porta” si ottiene solo con una capillare e impegnativa educazione ambientale specifica, e funziona in ambiti urbani di livello piccolo e intermedio, caratterizzati da una forte identità e coscienza ambientale caso “classico” quello di Graz mentre diventa difficile pensarlo attuabile ad ogni livello ed in ogni situazione. Il motivo principale è di ordine generale: saturato il mercato del compost, i cui impianti già oggi sono sottoutilizzati rispetto alle potenzialità , si dovranno aumentare sensibilmente anche a valle gli incentivi, tali da far giungere i costi del processo ad un limite insuperabile. Si parla di percentuali da sogno, oltre il 50 e fino al 60% di RU “diferenziato”, ma ci si riferisce alle esperienze pilota, e guai ad applicare queste quote al recupero finale: ogni processo di gestione e di recupero del rifiuto produce scarti e sovvalli in quantità davvero imbarazzanti: è sufficiente un singolo maldestro atto di smaltimento “indiferenziato” per fare “buttare a mare” (terramare?) tutta la partita, rendendo vano anche lo sforzo altrui contro l’entropia. Rimane quindi a valle dei processi di recupero una quantità di indiferenziato o di scarto che, a parere di chi scrive 13, non si discosterà sensibilmente in meno dal chilo al giorno a testa. E’ perciò evidente che la raccolta diferenziata e che anche le forme più o meno spinte di raccolta “porta a porta” non possono costituire un’alternativa “piena” alle forme tradizionali di gestione, come dimostra l’intera l’esperienza europea ed oltre. Se persino Calcutta 14 ha le sue discariche, come si suol dire: un motivo ci deve pure essere.
Montagne e “montagnole” di monnezza: le discariche Le nostre terramare sono il metodo più semplice per disfarsi dei rifiuti, interrandoli in un buco e ricoprendoli, e la semplicità , quando è ora di trattare con materiale non solo povero, ma di cui tutti si vogliono sbarazzare, e che ha per giunta costi forti di trasporto, di stoccaggio, di eventuale lavorazione, può davvero essere una strategia vincente. La “montagnola” di Bologna, parco pubblico frequentatissimo, è una ex. Dire che inquinano le falde è da irresponsabili: vengono scelti siti idonei e opportunamente impermeabilizzati, ed il percolato finisce normalmente al depuratore. Producono gas (CO2, CH4, ecc.) dalla fermentazione né più né meno delle nostre naturalissime quanto imbarazzanti flatulenze; parlare di effetto serra è improprio: qui è solo il ciclo del carbonio che si chiude, e succederebbe, almeno a grandi linee, con qualunque altro metodo o sistema, compreso il compost, l’abbruciamento, la digestione, l’incenerimento, ecc. a meno di non voler spedire i rifiuti sulla luna. Portarli invece in Germania, dove gli standard richiesti sono elevati ad essi vi si adegua costantemente la normativa europea ma le discariche non mancano, e dove anche gli autotrasporti ci sono ormai concorrenziali (potenza teutonica) è folle: le discariche devono essere non troppo distanti dai luoghi di produzione, ed è giusto ed equo che ogni città o provincia abbia le sue. Imballarli e poi stoccarli su campi presi in afitto a prezzo salatissimo, in attesa di una collocazione opportuna, non trova altro motivo se non la connivenza con speculatori senza scrupoli. Il contributo del metano prodotto dalle discariche all’effetto serra è tema tutto da discutere, ma non sembra argomentazione discriminante per preferire un sistema di trattamento dei rifiuti all’altro 15.
“Ricordati uomo che sei cenere ed in cenere ritornerai” – i termovalorizzatori Il primo “messaggio” che Dio dà all’uomo decaduto per il peccato, inaspettatamente e scandalosamente “materialistico”, e ben diferente da altre afermatissime concezioni religiose, che pongono la fine dell’individualità fra gli epifenomeni apparenti e/o recuperandone qualche scarno brandello nei cicli della reincarnazione ci ofre lo spunto, alludendo a tutti gli effetti (fra le altre cose) al ciclo del carbonio, per afrontare il tema in titolo 16. L’incenerimento o termovalorizzazione (il ciclo di lavorazione è esotermico con una discreta produzione di energia, nemmeno paragonabile, ovviamente, a quella delle centrali energetiche) è un’ottima soluzione tecnica per i RU, pienamente abbracciata, solo per fare uno fra i tanti possibili esempi, da un paese come la Svizzera, che in fatto di pulizia (ma per il danaro vale come sarcasmo) non ha da imparare nulla a nessuno 17. Compostare prima per ottenere CDR 18 pare una inutile complicazione: meglio bruciare tutto subito. Dire che producono diossina è allarmismo irresponsabile: è noto che per evitare il problema è sufficiente regolare la temperatura della caldaia. La diossina si produce casomai a bruciare i rifiuti le plastiche all’aria aperta, cosa che accade quotidianamente nel caso di eventuali emergenze monnezza. Quanto all’effetto serra, vale quanto già detto: se la materia che si brucia è organica (cioè dedotta la plastica ed assimilati) non si fa che accelerare la chiusura del ciclo del carbonio: la CO 2 prodotta è la medesima che le piante – solitamente nel corso di un solo anno nei cicli agricoli – avevano fissato sottraendola all’atmosfera, ed è la medesima che si otterrebbe molto più lentamente con l’utilizzo del compost nel terreno ad opera degli organismi decompositori. Inoltre una sola ciminiera monitorata e munita di filtro in chiusura è sempre tecnicamente ed ambientalmente molto più afdabile dal punto di vista delle emissioni di tante “stufette” difuse, ed il controllo diretto o indiretto dell’apparato pubblico nel nostro paese questa è una chimera: si punta sull’allarmismo per avere uditorio dovrebbe dare quella fiducia sufficiente alla popolazione non troppo distante: gli inceneritori, riducendo il volume dei rifiuti a circa il 30% in peso ed il 10% in volume del materiale immesso, per poi collocare il sottoprodotto in discarica (per rifiuti speciali non pericolosi), devono necessariamente essere ubicati vicino alle fonti di produzione del rifiuto stesso, e cioè non troppo distante dalle case dei loro produttori, che verranno anche riscaldate con gli avanzi di calore non diversamente recuperabili nella cogenerazione. Le difficoltà di collocazione di eventuali impianti sono perciò da valutare opportunamente costituiscono un costo oggettivo ed un possibile fattore di fallimento nella loro previsione. Collocandosi ad un livello intermedio, gli inceneritori non sono sostitutivi delle discariche, indispensabili nei momenti di stop tecnico, di problemi di emissioni, di problemi con immancabili “comitati”, nonché per la collocazione dei loro cinerei sottoprodotti.
Vo concludendo Prima ancora dei problemi sanitari e ambientali, è il nostro innato senso estetico – quello descritto nelle rubriche liturgiche del sacrificio e delle abluzioni del libro del Levitico come quello desunto dal comportamento dei progenitori dell’età del bronzo a farci aborrire la monnezza. L’insegnamento degli antichi è semplice e buono: da essa bisogna semplicemente liberarsi, il prima possibile, ad una distanza ragionevolmente vicina (ma non dietro casa, è sempre la NIMBY!) ed al costo più basso possibile. Investirvi risorse ulteriori è costoso e alle volte inefficace, talora addirittura controproducente. Anche dalla parabola di Re Mida dobbiamo imparare: la rincorsa all’opulenza fine a sé stessa rischia alla lunga di ingolfarci di cose inutili e dei loro voluminosi e maleodoranti e inquinanti sottoprodotti. Tutto è potenziale rifiuto, anche l’oro zecchino, se troppo abbondante e se troppo avulso dalle nostre necessità vitali. Neapolis quoque docet: il “rifiuto” è oggi uno dei temi qualificanti del compito di amministratori, tecnici e politici, non solo perchè le tarife relative cominciano a pesare sulle tasche dei loro amministrati: se non c’è soluzione al problema le città possono diventare davvero invivibili. E, nell’emergenza, fare qualcosa è davvero difficilissimo: si sviluppano nella pubblica opinione paure irrazionali che i media amplificano e rinfocolano quotidianamente nel progressivo e autodistruttivo (per entrambi) circolo vizioso: più l’informazione scorretta spaventa, più è richiesta. Bene il recupero alla fonte degli urbani quelli industriali va da sé ma non lo si ponga come “alternativa” ai tradizionali sistemi di smaltimento: non lo è. E’ indispensabile poter contare in un ipotetico territorio provinciale (una delle 100 e non una delle due) su almeno qualche discarica e diferenziare: visti i tempi ed i costi e le difficoltà di localizzazione e realizzazione degli impianti, quando insorgono difficoltà non si può fare altro che allargare quelle esistenti. Le discariche “rimangono” anche nel caso della termovalorizzazione, che si deve appoggiare a strutture di stoccaggio e collocazione a destino finale esistenti. Ma prima di proporre quest’ultima soluzione il cui immediato effetto sarà quello dell’insorgenza di agguerritissimi comitati spontanei fortemente motivati e determinati, nonché mossi da motivazioni di carattere privatistico mascherate da attenzioni globali all’ambiente è indispensabile contare su un sufficiente grado di consenso pubblico. Forse qualche futuro Gaetano Chierici, in un’epoca imprecisata, andrà a cercare le terramare dell’era della plastica, per vedere com’erano i suoi antenati: arduo da dire, ma ci valuterà forse sciuponi e spreconi, causa diretta ed indiretta di degrado complessivo del pianeta e quant’altro. Ma una cosa mi pare certa: non le potrà nè le vorrà utilizzare come fertilizzante.
Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani. Gaetano Chierici (Reggio Emilia 1838 – 1920), naturalista e paletnologo, fu tra i primi a studiare le terramare, sino ad allora note e utilizzate come fertilizzante. L’epigono di una visione fortemente ideologica ed irrealizzabile del “recupero totale” in Italia è Walter Ganapini, alle cui numerose pubblicazioni rimando.
Fonte: Rapporto rifiuti 2006, curato da APAT Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici e ONR Osservatorio Nazionale Rifiuti (Roma, gennaio 2007). Il rapporto è reperibile direttamente in rete su: http://www.apat.gov. it. Ne riportiamo ampio stralcio per maggiore chiarezza ed informazione con l’avvertenza che i dati si riferiscono al 2005. “La produzione dei rifiuti urbani fa, purtroppo, registrare, un ulteriore aumento nel 2005, raggiungendo 31,7 milioni di tonnellate, con un incremento di ben 1,6 milioni di tonnellate rispetto al 2003 (+5,5%), ed un pro capite di circa 539 kg/abitante per anno (6 kg/abitante per anno in più rispetto al 2004 e 15 kg/abitante per anno in più rispetto al 2003). Una risposta positiva è data dall’incremento della raccolta diferenziata che, nel 2005, si colloca al 24,3% della produzione totale dei rifiuti urbani.Tale valore risulta, tuttavia, ancora sensibilmente inferiore rispetto al target del 35%, originariamente previsto per il 2003 dal D.Lgs. 22/97 e successivamente posticipato al 31 dicembre 2006dalD.Lgs.152/2006.Difficilmenteilgapdioltre10puntipercentualipotrà esserecolmatonell’arcodiunannoconsiderando,anche, che con la finanziaria 2007, il Governo ha fissato il raggiuntimento dell’obiettivo di almeno il 40% entro il 31 dicembre 2007. La situazione appare,comunque,decisamentediversificatapassandodaunamacroareageograficaall’altra;infatti,mentreilNord,conuntassodiraccolta pari al 38,1%, supera ampiamente l’obiettivo del 35% (tale target era già stato conseguito nel 2004), il Centro ed il Sud, con percentuali rispettivamente pari al 19,4% ed all’8,7%, risultano ancora decisamente lontani da tale obiettivo. In questo contesto, particolarmente rilevante è il dato relativo alla crescita del settore del compostaggio che, nel 2005, fa registrare un incremento percentuale del 13% circa, dopo l’andamento negativo riscontrato nel periodo 2002-2004; aumentano sia i quantitativi di rifiuti trattati (oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani), che il numero di impianti presenti sul territorio nazionale. Vale la pena di sottolineare che il riciclaggio della frazione biodegradabiledegliRUelasuatrasformazioneincompostassumeparticolaresignificatoancheaifinidelripristinodiunadeguatotenore disostanzaorganicaneisuoliperilmantenimentodellafertilità elalimitazionedeifenomenidierosioneedesertificazione,assaiaccentuati inalcuneareedelnostroPaese.Inoltre,latrasformazionedeirifiutibiodegradabiliedilloroutilizzoagronomico,rispondonoallanecessità di allontanare la frazione organica dalla discarica con l’obiettivo prioritario di ridurre la produzione di metano, un gas serra 21 volte più potente del biossido di carbonio. Nell’anno 2005, ben il 22,6% dei rifiuti urbani, pari ad oltre 8,4 milioni di tonnellate, è stato avviato ad impianti di biostabilizzazione e produzione di CDR. Non può, invece, commentarsi in termini positivi il perdurare di elevate percentuali di rifiuti urbani allocati in discarica. Lo smaltimento in discarica, pur mostrando una lieve riduzione, pari al 3%, si conferma, anche nel 2005, come la forma di gestione più utilizzata, con oltre 17 milioni di tonnellate di rifiuti. Va, comunque, registrata la progressiva diminuzione del numero di discariche (61 in meno rispetto al 2004), soprattutto al Sud del Paese dove maggiore era la loro concentrazione e la loro inadeguatezza rispetto agli standard fissati dalla direttiva europea in materia. L’incenerimento, che interessa il 10,2% dei rifiuti gestiti, registra una crescita di poco inferiore al 9% e raggiunge quota 3,8 milioni di tonnellate. Dei 50 impianti operativi, 30 dei quali localizzati al Nord,ben47sonodotatidirecuperoenergeticoemoltidiessisonodinuovagenerazioneedotatidiefficacisistemidiabbattimento,secondo gli standard imposti dalle migliori tecniche disponibili.” Rifiuti Urbani. Se si analizza il sacchetto medio della spazzatura degli italiani, si scopre che buona parte dei rifiuti prodotti, circa il 43% del totale, è costituita da rifiuti organici (in particolare, scarti alimentari e vegetali). L’altra principale componente dei nostri rifiuti è costituita dagli imballaggi (circa 40%) suddivisibili a seconda della materia prima di cui sono fatti, in carta e cartone (22%), vetro (7%), plastica (7%) e metalli (3%). Dati della Fondazione Eni Enrico Mattei. La standardizzazione della distribuzione e le necessità logistiche impongono ormai tre ordini di imballaggi per le merci. E’ noto che uno degli effetti collaterali della grande distribuzione e dei suoi “sconti” è lo spreco di prodotti alimentari, che può arrivare anche al 40% dell’acquistato. I dati dell’Osservatorio Provinciale Rifiuti di Reggio Emilia si riferiscono in realà solo al primo semestre 2007. Ecco i dati completi, riferiti alle due provincie, del rapporto citato per il 2005: Napoli: abitanti 3.086.622, produzione pro capite di rifiuti: 523,45 Kg; di cui da raccolta indiferenziata Kg 483,10 e diferenziata Kg 40,35; Reggio Emilia: abitanti 494.212, produzione pro capite di rifiuti: 759,56 Kg; di cui da raccolta indiferenziata Kg 414,07 e diferenziata Kg 345,49; la media pro capite UE era di 580 Kg procapite nel 2004. Assai diferente è il caso dei fanghi di depurazione, smaltiti in agricoltura, assimilabili ai letami ed ai reflui di allevamento essendo il prodotto digestivo dei batteri responsabili dei processi di depurazione. “Not In My Back Yard”, non nel mio giardino, è lo slogan consueto di chi non vuole discariche e inceneritori troppo poco distanti da casa. Potremmo scherzosamente coniare un neologismo per la sindrome da riciclo privato: JIMBY (Just In My Back Yard). E’ un caso di inquinamento metafisico o “spamming”: l’abbondanza di numeri sui rifiuti rende impossibile reperire questo dato significativo a livello provinciale o anche nazionale: il netto recuperato e il resto delle operazioni di recupero, quello che si impara alle elementari: peso lordo – peso netto = tara. Qualche lustro fa un vecchio prete di montagna, don Zanni, le raccontava con un misto di pudore e di sconcerto puntinate qua e là di piccole sfere biancastre rotondeggianti, segno di quanto”potè il digiuno”. Anche se meno presente della CO , il metano sembra responsabile del 20% dell’innalzamento dell’effetto serra. Il metano è 2 infatti prodotto dai batteri responsabili della decomposizione della materia organica in condizioni di anaerobiosi cioè in mancanza o scarsità di ossigeno e quindi dalle discariche e dalla normale attività biologica di molti animali, come i milioni di bovini e suini presenti sulla terra. Si emette metano anche durante la produzione e il trasporto di carbone e gas naturale. Il bilancio del metano, che contribuisce all’effetto serra oltre 20 volte più della anidride carbonica a parità di peso, è peraltro assai complesso: si stima che 110 milioni tonnellate all’anno di emissioni di metano provengono dalla produzione di energia, 40 milioni di tonnellate dalle discariche, 25 dal trattamento dei rifiuti, 40 dalle biomasse bruciate, 20 dalle termiti, 15 dall’oceano, 10 dagli idrati, 115 dai ruminanti e 225 dalle zone umide (risaie, ma anche paludi). Il contributo delle discariche sarebbe così inferiore al 7% di tutte le emissioni. Inoltre Il metano è sequestrato dall’atmosfera nel processo naturale di formazione dell’acqua e rimane in atmosfera per 11-12 anni, meno di molti altri gas serra. Su “le Scienze” di aprile 2007 è apparso un articolo di Frank Keppler e Thomas Rockmann che ha stimato il possibile contributo delle piante vive (non in condizioni di anaerobiosi) al metano presente in atmosfera e sono arrivati a un valore impressionante compreso tra 60 e 240 milioni di tonnellate all’anno. Il valore più alto corrisponde a ben un terzo delle emissioni totali in atmosfera. La ricerca è tuttavia ancora in fase di forte discussione. In ogni caso il metano prodotto dalle discariche, essendo relativamente concentrato, può essere facilmente controllato (bruciato) o addirittura sfruttato. In realtà il detto biblico dice più esattamente “polvere”, “terra”: Adam, in ebraico, allude ad Adamà (terra) allo stesso modo del latino Homo che allude a Humus (Cfr. Luigi Rigazzi: “e Dio disse…” Silvana Piolanti editore, 2007). I due termini sono peraltro accostati spesso (Gn 18.27; Gb 2.12, 42.6, ecc.) e l’uso di polvere o cenere sul capo o addosso assume il medesimo significato di memento mori. In Europa l’incenerimento interessa la metà circa dei rifiuti smaltiti in discarica, con oltre 600 impianti. Volendo fare una panoramica più generale sulla destinazione dei rifiuti in Europa: il numero di impianti di discarica è superiore a 11.000 (8.700 considerando solo gli Stati membri UE25). Particolarmente elevato appare il numero di discariche presenti in Germania, Turchia, Regno Unito, Polonia e Grecia. Il numero di impianti di incenerimento censiti dall’OCSE sul territorio europeo risulta pari a 646, di cui 562 dotati di sistemi atti a garantire il recupero di energia. Per quanto riguarda i rifiuti urbani si calcola un ammontare complessivo di rifiuti urbani smaltiti in discarica superiore a 90 milioni di tonnellate; l’incenerimento può essere quantificato in circa 45 milioni di tonnellate di rifiuti trattati, quasi interamente avviati ad impianti dotati di sistemi per il recupero di energia. Nei Paesi UE15 l’ammontare di RU complessivamente inceneriti è pari ad oltre 40 milioni di tonnellate. I trattamenti biologici e le operazioni di riciclo, infine, si attestano, entrambi, a circa 37 milioni di tonnellate. Dal 1995 al 2003, l’incenerimentonell’UE15 aumenta di circa 27 kg/abitante per anno, da 81 kg/abitante per anno a 108 kg/abitante per anno, che si traduce in una crescita percentuale superiore al 33%. Da:”Rapporto…”, cit. Combustibile Da Rifiuto.