Le quattro facce dell’efficienza nelle amministrazioni locali

Quando si parla di efficienza dell’azione pubblica immediatamente evochiamo nella nostra testa problemi da tecnici, economisti o dirigenti amministrativi se non altro perché per efficienza in genere si richiama “la misura del rapporto fra prodotto e costi di produzione” ovvero noiose tematiche tecnico organizzative ben poco politiche ed ancor meno di interesse sociale. Nel breve articolo che segue non si dimenticherà  il problema tecnico ma si cercherà  di raccordarlo alle sue dimensioni politiche ed istituzionali anche per spiegare perché la ricerca di “efficienza” nella pubblica amministrazione posto che interessi a qualcuno, raramente è solo un problema tecnico. Lungi dal poter e voler essere esaustivi, l’analisi minima del difficile rapporto tra efficienza e pubblica amministrazione locale si svilupperà  su quattro dimensioni chiave passando progressivamente da una dimensione solo tecnica ad una dimensione prevalentemente politica – istituzionale. La storia del rapporto tra efficienza e pubblica amministrazione italiana è piuttosto recente ed insorge quando la necessità  di governare e ridurre il debito pubblico della nazione diventa imperativo europeo a cui non ci si può sottrarre, quando le amministrazioni locali da eterodirette diventano progressivamente autonome nel reperimento delle risorse 1, quando infine insorgono principi e norme che regolamentano puntualmente le responsabilità  civili e penali nell’uso delle risorse economiche pubbliche 2. Prima degli anni 80 di fatto prevaleva il principio dell’irresponsabilità  politica ed amministrativa sull’efficienza nell’uso dei soldi ed in generale delle risorse dei cittadini, prova ne è che solo a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso le amministrazioni locali e nazionali hanno cominciato a porsi il problema del “controllo” ovvero si sono chieste se erano in grado ed avevano la competenza per “gestire” e per “controllare la gestione” in termini non solo di efficacia dell’azione pubblica (grado di raggiungimento dei risultati auspicati) ma anche in termini di efficienza operativa (rapporto tra risultati conseguiti e risorse necessarie per conseguirli). Gli anni ‘90 sono anni d’oro per gli esperti ed i consulenti di controllo di gestione, chiamati in massa ad insegnare ed a costruire complesse strutture informative e ad implementare sistemi di monitoraggio e valutazione della spesa pubblica in termini di risultato ed in termini di efficienza gestionale. A conti fatti questa stagione ha risolto più che altro l’interesse politico di un adattamento isomorfico ad un mito sociale imperante (buon governo uguale controllo di gestione) che alla necessità  di sviluppare efficaci sistemi di controllo e valutazione nell’uso delle risorse pubbliche locali. Gli ostacoli all’introduzione ed a un utilizzo reale nei processi decisionali pubblici di controlli di efficienza peraltro non sono pochi. Anzitutto ha giocato e gioca tuttora un ruolo disincentivante l’alto costo che questi sistemi comportano soprattutto in termini di investimento iniziale e soprattutto se rapportati hai risultati che sono in grado di produrre nei primi anni di vita. A fronte di costi di avvio rilevanti sono stati non pochi i sindaci ed i presidenti di enti pubblici perplessi di fronte ad informazioni che forse prima mancavano ma che certamente una volta acquisiti nulla aggiungevano al processo decisionale tecnico politico. A titolo di esempio: sapere che un pasto della mensa dell’asilo costa 10 o 15 euro quale indicazione ofre? se non esistono prezzi standard sul mercato (con conseguente definizione univoca di uno standard di prestazione) o non esiste la possibilità  di analizzarne il costo nell’ambito di una sequenza temporale sufficientemente significativa o ancora senza la possibilità  di analizzarlo rispetto ad analoghe prestazioni in contesti simili? In secondo luogo quale vantaggio si può trarre dall’acquisire informazioni sul rapporto costi/ benefici se poi non si può intervenire sui fattori di produzione perché l’organizzazione è data e non è modificabile se non nel lungo periodo, oppure ancora perché è difficile ricorrere a scelte di make or buy in quanto nella realtà  del territorio non esiste un vero mercato di fornitori privati di servizi pubblici? Non è un caso che solo nelle grandi amministrazioni pubbliche locali si siano sviluppati sistemi stabili di controllo dell’efficienza interna e solo in queste tali controlli siano utilizzati nell’ambito dei processi decisionali attinenti alla qualità , quantità  e modalità  di erogazione dei servizi pubblici. Nelle altre amministrazioni locali, ovvero nella stragrande maggioranza dei casi e del territorio3 il presidio dell’efficienza più che attraverso lo sviluppo di sistemi di controllo si sta realizzando attraverso processi di aggregazione ed unificazione dei servizi dando per “scontata” l’insostenibilità  economica di gestire con efficienza (ed efficacia) i servizi pubblici locali da parte della maggior parte dei comuni italiani date le loro ridotte o ridottissime dimensioni. Una seconda dimensione non irrilevante riguardo al concetto di efficienza nei servizi pubblici locali attiene al difficile rapporto tra pubblica amministrazione ed i sempre più frequenti appaltatori dei servizi pubblici. Le teorie economiche relative alle scelte di make or buy individuano numerosi parametri oggettivi di valutazione razionale in merito alla decisione di “fare” o “appaltare” un servizio od una attività  pubblica ad un attore terzo (tramite mercato o società  partecipata). Tra tutte le regole quella che appare più significativa è relativa alla necessità  di poter successivamente controllare ciò che si esternalizza ovvero ciò che non si gestirà  più direttamente tramite gerarchia e che si governerà  solo tramite le regole del mercato assistite da un contratto. In pratica estremizzando ciò che dicono i modelli di analisi, si esternalizza solo ciò che si conosce bene e che quindi si potrà  controllare altrettanto bene. Al contrario sono tuttora piuttosto rari i processi di esternalizzazione di servizi ed attività  pubbliche che rispettino questa regola aurea, con il risultato che più che di appalti sarebbe opportuno parlare di privatizzazioni di fatto, tanto elevata è la non capacità  ed il disinteresse della pubblica amministrazione appaltante a controllare e presidiare non solo l’efficacia ma anche l’efficienza dell’appaltatore ovvero i costi che la comunità  dovrà  sostenere per i servizi appaltati. Una terza dimensione che ruota sempre più attorno al problema dell’efficienza nei servizi pubblici locali attiene ai suoi confini. La domanda chiave che sempre più ci si pone è se l’azione pubblica deve misurarsi solo in termini di efcienza interna o invece in termini di efficienza tout court compresi i costi, gli oneri amministrativi e sociali che le attività  di servizio e soprattutto le attività  di regolazione della pubblica amministrazione comportano per le comunità  locali. Un esempio per tutti: non c’è dubbio che l’emanazione di un regolamento sul commercio su aree pubbliche o inerente materie di urbanistica pongano pochi problemi di misura di efcienza interna all’ente che li emana; la domanda però è: a fronte di un obiettivo di regolazione qualunque esso sia, sono noti i costi che gli attori economici e sociali privati dovranno sostenere per attenersi ad esso? Ovvero tra obiettivi della regolazione e costi che questa comporta per la società  si sono fatte analisi di efficienza? La risposta è scontata: non abbiamo nelle strutture pubbliche nessun know how e nessuna tecnostruttura delegata a misurare ex ante (e pure ex post) gli oneri amministrativi che le attività  di governo e regolazione pubblica comportano per le comunità  locali. Quel che peggio è che questa dimensione di “costo” ancora oggi oltre a non essere valutata, raramente viene considerata come tale. Molte politiche ambientali, urbanistiche e di regolazione delle attività  economiche fondano parte dei loro fallimenti nell’insostenibilità  economica e quindi nella profonde inefficienze che queste comportano per i cittadini. Infine, negli ultimi anni è insorto un ulteriore problema di efficienza nelle pubbliche amministrazioni locali legato ai costi delle decisioni. La frammentazione e concorrenza delle istituzioni pubbliche sulle stesse problematiche, le complesse procedure sequenziali verticali ed orizzontali di pareri, nulla osta, autorizzazioni ecc. unite a processi di inclusione nei processi decisionali pubblici delle comunità  locali o meglio delle associazioni ed organizzazioni di rappresentanza di queste, forse hanno mostrato di essere in grado di produrre soluzioni più condivise ma contestualmente hanno messo in luce uno spropositato aumento di costi decisionali (in termini di impegno e di tempi) con frequenti rischi di paralisi nello stesso processo di scelta. La gestione della frammentazione istituzionale e sociale non solo ha reso estremamente più complessi i processi decisionali, ma ne ha aumentato i costi e soprattutto ne ha ridotto l’efficienza. Su questo versante però gli enti locali non hanno reali poteri di azione, di semplificazione e di governo del non semplice rapporto fra legittimità /coinvolgimento/trasparenza della scelta pubblica ed efficacia ed efficienza della stessa. Su questo versante piuttosto mai come ora abbiamo bisogno dell’intervento dello Stato.

  1. A titolo di esempio, nel corso degli ultimi venti anni la percentuale dei trasferimenti statali ai comuni è passata da una media superiore all’80% all’attuale media inferiore al 10%.
  2. Se il testo unico della legge comunale e provinciale del 1934 chiariva bene vincoli e responsabilità  nell’uso delle risorse economiche, di fatto solo a partire dagli anni 80 la responsabilità  civile e penale degli apparati politici ed amministrativi degli enti pubblici locali diventa effettiva.
  3. Da fonte ANCI, degli ottomila e passa comuni italiani quasi il 92% non supera i 15.000 abitanti e di conseguenza con difficoltà  hanno strutture interne, competenze e risorse sufficienti per elaborare autonomi sistemi di controllo della spesa pubblica. In termini di popolazione questi comuni rappresentano 24.000 milioni di abitanti.