Senza voler qui esaurire le riflessioni sull’esperienza condotta nell’ambito della predisposizione del nuovo Piano territoriale lombardo, avviata secondo quanto previsto dalla legge regionale 12/2005 ‘Legge per il governo del territorio’ e giunta alla fase di approvazione finale(1), posso offrire alla conoscenza di chi opera nel campo del territorio alcuni appunti, che mi sono annotato nel corso dei lavori.
Sono brevi considerazioni, spunti per l’approfondimento ed il lavoro successivo, titoli di questioni aperte, che volentieri trascrivo in questa mia sintetica nota. Appunti di lavoro, i più preziosi.
Serve una strategia per il territorio?
La domanda è indubbiamente in buona parte retorica, ma non vi è dubbio che non si ritrovano molte occasioni per evidenziare l’utilità di un lavoro disciplinarmente strutturato ed istituzionalmente organizzato per costruire ‘nuove politiche’ a fondamento/complemento dello sviluppo del territorio.
In primo luogo occorre evidenziare la complessità di questo lavoro, del lavoro di costruzione di ‘politiche’. Difficoltà connesse alle dinamiche di globalizzazione delle problematiche, che richiedono una capacità di cogliere fattori evolutivi esterni all’area di riferimento, alle tempistiche di trasformazione sempre più rapide e imprevedibili, al riconoscimento stesso dei fattori di cambiamento, al posizionamento di metodologie interpretative e di forme di esposizione dei contenuti del piano ai fini della loro reale efficacia nel contesto sociale ed istituzionale.
Né sembra di rilevare un’effettiva disponibilità al concorso di responsabilità da parte del sistema dei soggetti istituzionali, operanti nel e sul territorio. Quando vi è sensibilità sul tema, la strategia è orientata in funzione di prospettive temporalmente assai limitate, per lo più connesse al ciclo dell’impegno istituzionale.
In altre parole: non è stato facile nel lavoro lombardo, sulla regione Lombardia, riscontrare una reale e sostanziale partecipazione per individuare orizzonti di obiettivi convenuti e prospettive di azioni condivise. Parlo di ‘politiche generali’ per il territorio a scala regionale, non di interventi specifici o di orientamenti settoriali.
Da questo punto di vista, in particolare, rilevo una l’insussistenza di indirizzi di riferimento presenti a livello nazionale: quali sono gli obiettivi generali di sviluppo del nostro Paese per il suo territorio? Ci sono?
Implicitamente (quanto?), forse si. In taluni comparti di intervento, certamente; in altri assolutamente no.
Senza evocare necessariamente la necessità di atti di riferimento sistematizzati e compiuti, dirigisti e vincolistici, è comunque oggettiva l’assenza di obiettivi strategici a scala nazionale, che possano concorrere ad accompagnare una coerente finalizzazione a scala regionale. Penso che, in una nuova fase di impostazione dei raccordi istituzionali nel nostro Paese, non debba mancare un’attenzione ad individuare sedi e strumenti realmente in grado di offrire qualità e lungimiranza ai processi decisionali che incidono sul territorio.
Ma, naturalmente, l’interazione non deve essere solo ‘discendente’. Anche la direzione ‘ascendente’ è assolutamente significativa, e in parte esplorata nella recente esperienza lombarda.
Messaggi verso l’alto
Ecco, dunque, alcune aree di proposta lombarda per la costruzione di politiche nazionali:
* Reti urbane e reti territoriali, tra polarizzazioni funzionali e competizioni regionali; per linee di azione pertinenti alle competizioni/cooperazioni di scala internazionale
* Il paesaggio, tra eccezione e normalità ; necessità di un esercizio qualificato di responsabilità diffuse, traguardanti riconosciute finalità comuni, e arretratezza di una visione esclusivamente vincolistica e centralizzata.
* Il territorio rurale, tra identità di tradizione e nuova polivalenza funzionale; verso un nuovo equilibrio tra produzione (produzioni) e organizzazione degli spazi e degli insediamenti esistenti.
* Le infrastrutture e il contesto territoriale, tra efficienza operativa e permanenza di impatto; esigenza di una progettazione integrata e concorrente, per benefici non compartimentalizzati.
* Le reti ecologiche e le reti naturali, tra residualità e imprescindibilità ; integrazione di una visione unitaria a scala nazionale (e sovra-nazionale) con l’azione locale.
* Energia e trasformazioni urbane, tra innovazione e inerzia; opportunità di strategie di agevolazione finanziaria, di semplificazione normativa, di riqualificazione architettonica ed urbanistica.
* La sicurezza idrogeologica, tra emergenze e spese; ricerca di una volontà e capacità di investimento permanente e diffuso per la salvaguardia del territorio.
E altre ancora potrebbero essere enumerate: nel senso di sollecitare lo Stato ad esprimere l’esercizio di un vero e alto ruolo di governo, capace di indirizzare i comportamenti e le azioni delle altre istituzioni, sostenendole in una visione generale ed accompagnandole in vario modo (finanziario, normativo, comunicazionale) nello sviluppo delle attività . Ed anche di incidere, per quanto riguarda le politiche territoriali, sulla definizione di strategie ed azioni di livello sovra-nazionale.
Sono temi che ci richiedono un presidio costante, una programmazione in tempi medio-lunghi, una leale cooperazione tra tutti i soggetti pubblici. Per superare, in particolare, la frammentarietà e la contingenza dei mandati amministrativi, che si rincorrono talvolta confusamente, oltre che anguste visuali volte alla riappropriazione centralistica di competenze, il cui presidio richiede oggi â al contrario â la massima diffusione delle responsabilità .
Giova sottolineare ancora, a mio parere, l’aspetto relativo alla debolezza del sistema di relazioni istituzionali preordinate alla maturazione e condivisione di linee strategiche fondamentali per l’assetto del territorio. Con un salto di qualità , sia delle responsabilità politiche, sia delle responsabilità tecniche.
Dalle valutazioni ambientali, qualche idea
In questo ambito di riflessione possiamo fare qualche riferimento anche all’esperienza di valutazione ambientale strategica del Piano Territoriale Regionale lombardo. Al di là del punto di avanzamento che abbiamo realmente conseguito nell’integrare la dimensione ambientale nel nostro piano, vi sono delle interessanti potenzialità che posso richiamare, anche per offrire elementi di fiducia al percorso in atto per l’introduzione della valutazione ambientale strategica, su cui già non mancano critiche e riserve (soprattutto per il taglio ‘burocratico’ di applicazione).
Il lavoro fatto per il piano lombardo evidenzia in primo luogo non marginali difficoltà tecnico-disciplinari legate all’applicazione di questo strumento ad atti programmatici di natura così generale ed estensiva. La composizione, in un unico documento, di differenziate linee di azione ed aree di intervento con orizzonti temporali non sempre coincidenti, rende particolarmente complesso il compito valutativo, che probabilmente può essere affrontato â sotto il profilo ambientale â in termini di riscontro di contributi migliorativi d’insieme piuttosto che di giudizio assoluto di idoneità .
Non si può tuttavia non ritenere positiva l’attività di ‘accompagnamento’ al percorso di piano che l’applicazione della valutazione ambientale strategica ha generato sui contenuti stessi del piano. Assumendola non esclusivamente quale fase dichiarativa finale, ma quale ricerca continuativa di stimoli e riferimenti, sia nelle attività ricognitive e conoscitive, sia in quelle interpretative e propositive, sia in quelle attinenti più strettamente alla individuazione delle politiche e ai mandati agli altri attori istituzionali e sociali.
Dire che ciò sia sufficiente per ritenere compiuta l’esperienza fatta, non è certamente né possibile né utile. Abbiamo però motivo di ritenere che il lavoro svolto a livello regionale sia utile anche in rapporto alla costruzione di un quadro di riferimento significativo per l’esercizio dei compiti di valutazione ambientale condotti nelle altre sedi istituzionali o in altre responsabilità di valutazione.
Sotto questo profilo, la valutazione territoriale strategica del Piano Territoriale Regionale può pertanto essere riconosciuta anche come positivo strumento di relazione interistituzionale, nell’ambito delle attività di pianificazione che incidono sul territorio, sia a scala sovra-regionale, sia a scala infra-regionale.
Devo comunque rilevare in merito che l’entità del lavoro ancora da svolgere sia ancora assai rilevante, soprattutto per coordinare ed integrare positivamente (negli aspetti di rilevazione, di monitoraggio, di finalizzazione) l’attività che in merito si va diffondendo tra tutti gli Enti locali. L’esplorazione delle potenzialità delle nuove tecnologie informative potrà fornire utili spunti di approfondimento ed indirizzo.
Tra Regioni
Non posso, in queste righe conclusive, fare a meno di ringraziare i colleghi delle altre Regioni dell’area padano-alpina, con cui abbiamo collaborato â in questi ultimi anni â in varie occasioni, confrontandoci ripetutamente sui temi della pianificazione regionale2.
Alcuni elaborati del Piano Territoriale lombardo sono frutto del lavoro comune, svolto al fine di cogliere elementi di inquadramento unitario di questa grande struttura territoriale europea e di individuare ed approfondire insieme linee di azione comune. E’ stato certamente un primo passo di un altro percorso: un percorso che ritengo essenziale, non solo per offrire strumenti adeguati al concreto esercizio di un effettivo federalismo istituzionale, ma anche per dare senso e qualità all’attività di pianificazione delle Regioni, ed esprimere una adeguata capacità di interpretare e corrispondere ai bisogni della nostra società .
Note
1 Il Piano territoriale regionale della Lombardia è stato adottato dal Consiglio Regionale il 27.7.2009; le controdeduzioni alle osservazioni presentate sono state approvate dalla Giunta Regionale il 18.11.2009 e inoltrate al Consiglio Regionale ai fini dell’approvazione del piano.
2 Il mio grazie va soprattutto a Mauro Giudice, Paolo Matiussi, Giovanni Paludi, Romeo Toffano.