Nell’ultimo scorcio del 2007, il quadro politico sembrava mostrare i segni tangibili di un profondo cambiamento. Nel centrosinistra, la nascita del Partito Democratico e l’iniziativa della sua leadership sembravano già collocare i riformisti italiani in una diversa dimensione temporale: nella stagione da venire piuttosto che in quella già passata. Nel centrodestra, per quanto estemporanea e visibilmente populistica, la “politica del predellino” segnalava una qualche consapevolezza dei conservatori (nell’accezione europea del termine) della necessità di uscire dalla”alternanza inane” dell’ultimo decennio. A distanza di qualche settimana, i segni del cambiamento sono ancora lì ma non sono ancora nulla più che segni. Segni, per di più, coperti dal velo di polvere sollevato dagli avvenimenti più recenti. Primi, fra tutti, gli avvenimenti campani. Nelle fila del centrosinistra, quegli avvenimenti hanno esposto impietosamente un problema già presente da tempo ma in qualche maniera sempre pudicamente accantonato. Fino a qualche tempo fa, l’opinione corrente riconosceva al di là delle diverse posizioni politiche nella classe dirigente del centrosinistra un fondo indiscutibile di competenza e di afdabilità , di esperienza e di responsabilità . Oggi non è più così. Un patrimonio raro di credibilità si è andato pian piano disperdendo nell’ultimo decennio e, a velocità crescente, nell’ultimo biennio. Intendiamoci, che ciò sia accaduto è in qualche misura”ingiusto”. La percezione collettiva, in altre parole, non rispecchia compiutamente i meriti di tanti. Ma non vi sono molti dubbi sul fatto che la percezione collettiva non riconosca più, come aveva fatto per qualche tempo, una qualche positiva specificità nella classe dirigente del centrosinistra. Per molti versi la ricostruzione di quel patrimonio è o, forse, dovrebbe essere il primo punto nell’agenda della leadership del partito democratico. Non solo perché la prova del governo è sempre possibile. Ma soprattutto perché la ricostruzione di quel patrimonio è, oggi, uno strumento essenziale di comunicazione fra il Partito Democratico ed il paese. Il processo di costruzione e di ricostruzione di una classe dirigente è il modo più semplice ed immediato con cui il Partito Democratico può rendere evidenti al paese scelte che sembrerebbe aver già fatto proprie: la concorrenza, la selezione, il merito. Per far solo degli esempi. E, al tempo stesso, il processo di costruzione e di ricostruzione di una classe dirigente è la strada maestra per ricondurre finalmente in un quadro unitario la cultura riformista la inevitabile diversità di accenti presente in ogni grande partito popolare. Non diversamente, nelle fila del centrodestra. Quel che più colpisce della situazione campana è la incapacità del centrodestra di essere – qui ed ora una alternativa autorevole e credibile alla esperienza amministrativa del centrosinistra di cui sono oggi evidenti i limiti. Non c’è in Campania o almeno questo sembra all’osservatore una opposizione che si candida a governare e che lo fa perché sa di poterlo credibilmente fare. Perché sa di averlo autorevolmente fatto negli ultimi dieci o quindici anni. C’è, in realtà , l’altra faccia della “alternanza inane” che potrebbe definirsi”l’alternanza residuale”. Quella che interviene non già perché si è depositari di una migliore strategia e di una più lucida visione politica ma semplicemente per default, per manifesta inferiorità dell’avversario politico. Quella che vanifica la nozione stessa di alternanza e pone le basi per una politica in cui l’opposizione verbale può facilmente e serenamente convivere con la condivisione sostanziale delle scelte. Per la precisione, di quelle peggiori. Quale che sia il disegno politico dei leader del centrodestra, quale che siano le loro scelte nelle prossime settimane, il futuro del centrodestra così come quello del centrosinistra dipende dalla sua capacità di riflessione su se stesso. Un tema che temo la “politica del predellino” non solo non afronta, ma semplicemente rimuove. Un tema che è però essenziale per la discussione in corso: è tutto sommato facile fare una legge elettorale (il ricordo della passata legislatura è, sotto questo aspetto molto vivo). Molto più difficile è, a destra come a sinistra, costruire la cultura politica in grado di sostenerla e farla vivere e funzionare al meglio.