Ovest Vicentino: nuova frontiera dello sviluppo sostenibile

L’identità  del territorio, tra eredità  industriale manifatturiera e business del futuro Lo sviluppo dei distretti italiani e dei “territori” a economia difusa è “path dependent”, dicono gli economisti industriali. L’approccio indispensabile per interpretare la loro dinamica non può essere schematico-prescrittivo, ma storico-istituzionale (etnografico). Prima di qualsiasi intervento programmatorio è opportuno prestare accurata attenzione ai processi che hanno favorito, nell’arco di decenni, la formazione di capitale sociale, conoscenza localizzata, beni collettivi per la competitività . Nel contempo, sempre gli economisti sostengono che, per costruire una strategia efficace di sviluppo in questi territori, è necessario ispirare l’azione collettiva ad una buona teoria dei “sistemi di mercato” e a un modello “gestionale” orientato a far nascere “istituzioni di progetto”, più che “servizi” afdati ai tradizionali uffici amministrativi. Le politiche per il “territorio” dovrebbero recuperare il contributo attivo dei cittadini e degli imprenditori, per “mettere sotto pressione” il sistema amministrativo, altrimenti auto-referenziale, orientato alle procedure più che ai risultati, ecc… Per interpretare il tema della pianificazione territoriale in termini innovativi è dunque necessario assumere una nuova prospettiva. In primo luogo bisogna provare ad adottare una nozione di “territorio” più moderna di quella che abbiamo ereditato dall’ordinamento napoleonico, privilegiando una logica di “sistema aperto/nodo di una rete g-locale” rispetto alla tradizionale logica “sistema chiuso/ tutore monopolistico di eredità  anagrafiche”. In secondo luogo bisogna afrontare il tema della pianificazione in chiave “costituente”, valorizzando il contributo “creativo e integrato” degli agenti economici nella produzione di nuovi saperi e beni pubblici locali per la competitività . A partire da considerazioni di questo genere un economista e due sindaci del Nordest hanno cominciato a interrogarsi sul futuro del loro territorio. Un “territorio” simbolo dello sviluppo manifatturiero, difuso e distrettuale, del Nordest, giunto al capolinea di una fase lunga e complessa della propria evoluzione. Parliamo del territorio compreso tra la valle del Chiampo e i colli di Montecchio verso Vicenza, per semplicità  l’”Ovest Vicentino”. La prima occasione di confronto si è presentata con le celebrazioni organizzate dal Comune di Montecchio Maggiore per i cinquant’anni dalla scomparsa di Pietro Ceccato (nel 2006). Pietro Ceccato è il fondatore di un’impresa meccanica che ha inciso profondamente sull’identità  dell’Ovest Vicentino, tanto da dare “un mestiere” a migliaia di persone e il nome ad una frazione del territorio (quella di Alte Ceccato, che si incontra all’uscita dal casello autostradale di Montecchio). I cittadini si sono mobilitati in quella occasione e hanno indotto il sindaco (Maurizio Scalabrin) a tentare un investimento “straordinario” sui temi dello sviluppo locale e della pianificazione territoriale. A tale tentativo hanno dato la propria adesione prima di tutto un paio di economisti “distrettisti” (uno dei quali firma questo articolo Paolo Gurisatti, mentre l’altro Claudio Boschetti, ha lasciato involontariamente questo mondo a metà  di marzo 2007) e poi numerosi imprenditori della zona. Anche Stefano Fracasso (sindaco di Arzignano) ha presto scelto di condividere il percorso di riflessione iniziato a Montecchio, un tempo campanile inconciliabile con quello di Arzignano, per spirito di innovazione e nella consapevolezza che il futuro richiede una massa critica di idee e di risorse che non sono più quelle dei piccoli comuni e dei distretti di prima generazione. L’impatto delle imprese industriali sulla struttura fisica del “territorio” dell’Ovest Vicentino è in fondo molto simile tra Montecchio e Arzignano. Si pensi che buona parte della meccanica e della concia può essere ricondotta ai “mestieri” sviluppatisi all’interno di due imprese, che sono state per anni una bandiera dell’intero territorio e hanno svolto una fondamentale funzione di incubatore di competenze tecniche e imprenditoriali: la Ceccato, appunto a Montecchio, e la Pellizzari – oggi Marelli Motori, ad Arzignano. La “genealogia” del sistema locale può essere in larga misura ricondotta alla “cascata” di spin-of che da quelle grandi imprese ha avuto origine. E tale cascata ha consolidato nel tempo una esperienza e una identità  comuni all’interno dell’Ovest Vicentino. Molta acqua è passata sotto i ponti, dalla metà  del secolo scorso ad oggi, ma la conoscenza localizzata e il capitale sociale dell’area portano ancora visibili le tracce del processo costituente degli anni ’50. I campanili sono in parte stati abbattuti, ma l’organizzazione della società  e della vita quotidiana è rimasta la stessa. La reputazione e l’identità  del territorio restano “marcate” dall’impostazione originaria. L’Ovest Vicentino è ancora oggi un territorio KKK (come dicono i giapponesi delle attività  lavorative sporche, mal pagate e con scarso appeal nei confronti dei giovani), of-limits, scarsamente “sostenibile” e attrattivo. Gli autori di queste note concordano sul fatto che oggi, all’inizio del 2008, un nuovo processo costituente è necessario per impostare una nuova e più soddisfacente fase di sviluppo. Istituzioni forti come e più della Ceccato e della Pellizzari devono essere pensate per agganciare l’Ovest Vicentino ai nuovi business emergenti e per trasformare il territorio in un “nodo” riconosciuto di reti globali (o supply chain come si dice oggi) in via di formazione. I temi emergenti sono quelli dell’energia, del ciclo dell’acqua e dell’aria, delle tecnologie avanzate per il controllo del territorio. Di sviluppo “sostenibile” parlano ormai tutti e a Vicenza Ovest la questione è sentita più che altrove, per le ferite prodotte dal passato. Il risparmio energetico e la compatibilità  ambientale sono entrati a far parte del DNA della popolazione e sono ormai terreno di sperimentazione permanente dei principali settori manifatturieri. L’Ovest Vicentino è una delle aree più congestionate del Nordest. Al suo interno il timbro “periferico” dell’ambiente, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, la presenza di un sistema misto di fabbriche e zone residenziali, la forte immigrazione “senza qualità “, eccâ¦ hanno fatto scattare da tempo flussi cospicui di investimenti e di ricerca. Gli agenti locali hanno accumulato un sia pure temporaneo vantaggio competitivo, rispetto ad altri territori, e potrebbero oggi siglare un patto che porti al consolidamento delle conoscenze sviluppate finora e all’emergere di una nuova identità . Come sfruttare l’esperienza pregressa? Come invertire la tendenza del KKK? Come innestare una traiettoria di sviluppo che porti Montecchio Maggiore, Arzignano e l’Ovest Vicentino fuori da una traiettoria “industrialista a oltranza”, che non soddisfa più le aspettative della popolazione autoctona e soprattutto delle giovani generazioni? A questo punto si mescolano questioni di merito e di metodo. Quale approccio tecnico-analitico è opportuno scegliere? Quali strumenti di azione utilizzare, per non incappare nei limiti conclamati delle politiche per i distretti (già  sperimentate in zona), delle intese programmatiche d’area e dei patti territoriali? Quali alternative cercare ai business innovation centres e i parchi scientifici e tecnologici o alle agenzie di sviluppo locale cha scarsa efficacia hanno dimostrato finora? Quale dimensione dare all’intervento per non rimanere al di sotto della scala minima efficiente degli investimenti e per evitare quella dimensione provinciale che impedisce la produzione di soluzioni originali, in attesa di decisioni esterne? Un patto per lo sviluppo sostenibile, oltre la manifattura “energivora” e consumatrice di risorse Nell’Ovest vicentino sono stati finora sottoscritti numerosi accordi e patti territoriali, che hanno avuto come obiettivo principale la sostenibilità  e la ristrutturazione dell’industria. I risultati sono complessivamente interessanti, ma non sono sufficienti a consolidare una nuova identità  post manifatturiera. Nel settore conciario gli interventi realizzati, sia dagli agenti pubblici che dai privati, sono cospicui: vanno dal sistema pubblico di gestione delle acque (tra i più evoluti del mondo) al sistema privato di recupero degli scarti della pelle, dalla formazione pubblica di risorse umane al sistema privato di supporto all’innovazione, alla logistica e all’internazionalizzazione delle imprese. Nel distretto della meccatronica gli interventi sono stati altrettanto rilevanti: integrazione imprese-università , sviluppo di “reti tra imprese” per la definizione e l’adozione di nuovi standard produttivi, ecc… A livello di comuni si è proceduto a definire accordi e investimenti per la riqualificazione dell’ambiente (progetto Giada, certificazione EMAS, eccâ¦), soluzioni concertate per la realizzazione di opere importanti (come l’inizio della Pedemontana veneta e l’innesto con la Serenissima, come la piattaforma logistica del CIS e una serie di varianti del sistema stradale locale che includono il tunnel VandagnoSchio, numerose bretelle e circonvallazioni, qualche pista ciclabileâ¦), addirittura è nato un movimento di massa contrario all’insediamento di una mega-centrale a carburante, oggi impegnato alla ricerca di soluzioni alternative. Questi interventi, quasi tutti ben gestiti, non hanno portato finora benefici significativi dal punto di vista della reputazione del territorio (che è migliorata un poco). Sono esperienze importanti, ma non sono sufficienti a innestare una inversione di tendenza. Mancano un patto esplicito e una strategia che possano trasformare l’Ovest Vicentino nella “home base” locale della “green economy”. Quella “green economy” che è fatta di tecnologie applicate ai processi industriali, riduzione dei consumi di energia, co-generazione, produzione e distribuzione di energia da bio-masse e altre fonti rinnovabili locali, risparmio di risorse scarse come acqua, aria e territorio. Individualmente quasi tutti gli operatori sono impegnati a ricercare soluzioni interessati ai vari problemi qui indicati. Ma non esistono ancora strumenti operativi che possano produrre la “risonanza positiva”, tra le esperienze in atto, che fa scattare il meccanismo aggregatore di un nuovo”sistema di mercato”. Secondo gli esperti tale meccanismo si profila solo quando si strutturano modelli di relazione ricorrente (in questo caso finalizzati a far evolvere la famiglia di artefatti collegata alla sostenibilità  dei processi industriali) contemporaneamente su tre livelli: * a livello macro, attraverso la creazione di istituzioni e infrastrutture che “allineano” il punto di vista degli agenti verso un nuovo “orizzonte cognitivo”; in questo caso potrebbero svolgere una funzione di indirizzo programmi come “Industria 2015” oppure interventi finalizzati alla rottamazione degli impianti energivori oppure ancora regolamenti comunali che incentivano il risparmio energetico nelle categorie di impresa prevalenti; * a livello micro, attraverso la difusione di contratti di fornitura, capitolati tecnici e altre forme organizzative del mercato che spostano l’attenzione verso nuove attribuzioni (dei prodotti e dei processi); nel caso dell’Ovest Vicentino questo potrebbe essere prodotto da decisioni autonome delle grandi azienda capofila, nei confronti dei propri fornitori, oppure dall’intervento concertato di associazioni tecniche e di categoria oppure ancora dalla revisione dei regolamenti comunali; * a livello meso, attraverso l’emersione di comunità  professionali (sostenute da percorsi formativi e istituzioni di ricerca) che sappiano codificare l’esperienza tacita degli innovatori e costruire un sistema della conoscenza o “filiera cognitiva” che organizza il trasferimento delle competenze su scala ampia; nel caso dell’Ovest Vicentino questa prospettiva potrebbe essere concretizzata da strutture adatte (laboratori della concia come Stahl e Bayer oppure il corso di meccatronica dell’Università  di Padova), purché l’investimento in ricerca venga finalizzato meglio alla convergenza di sistema. Manca in questo momento un progetto di investimento sistematico sui tre livelli. Manca un patto per la valorizzazione delle “conoscenze green” presenti nel territorio e fonte di un possibile vantaggio competitivo. Manca un “progetto politico” di lungo corso, finalizzato a costruire un “territorio produttivo della sostenibilità “, capace di far entrare il sistema delle imprese dell’Ovest Vicentino nelle reti globali dell’acqua, dell’aria e dell’energia rinnovabile e contemporaneamente di rinnovare il contesto istituzionale a misura delle esigenze poste dai “cittadini produttivi” che aderiscono al progetto (economie esterne di tipo materiale e immateriale). Come risolvere in modo intelligente e innovativo questo problema? Ci sono, a questo proposito, problemi di merito e di metodo che vanno superati. Da un lato si tratta di focalizzare bene gli “interessi cognitivi” degli agenti locali, per identificare il quadro tecnologico comune e il “filo conduttore” che possa allineare gli investimenti pubblici e privati lungo una medesima filiera. Dall’altro si tratta di configurare un contesto interattivo che favorisca il confronto aperto tra saperi e poteri “reali”, tra quelli veramente interessati al “processo costituente” del nuovo territorio (anche e soprattutto in termini istituzionali). Per raggiungere questi obiettivi è importante evitare soluzioni scarsamente efficaci come, ad esempio, l’appalto di uno studio a consulenti esterni oppure la chiamata degli “stati generali” oppure ancora l’avvio di progetti europei eterodiretti… La scelta di Montecchio è stata radicale. Il Comune ha deciso di costituire una ESCO (Energy Saving Company) che si proponga nel concreto di disegnare interventi di efficienza energetica nelle case, nella fabbriche e nelle scuole di tutto il territorio, accumulando competenze in materia di edilizia sostenibile, risparmio energetico, gestione intelligente delle risorse rinnovabili come acqua, bio-masse e ariaâ¦ La soluzione proposta soddisfa una serie di condizioni, di merito e di metodo, che conviene richiamare in questa sede: * con la costituzione di una ESCO mista gli agenti del territorio, interessati alla sostenibilità , si aprono al confronto entro un “sistema di mercato”; costituiscono una nuova istituzione (società  di scopo, mista probabilmente, nonostante i limiti imposti dalle normative neo-liberali sulla concorrenza) per impegnare competenze pubbliche e private allo sviluppo di una nuova famiglia di artefatti, accettando di misurare il progresso della conoscenza utile in termini economici; in questa società  non c’è spazio per attività  da “pubblico impiego”, tutti i soggetti partecipanti ricevono un “mandato amministrativo” a raggiungere obiettivi chiari della collettività ; * in secondo luogo, attraverso un meccanismo concertato di attrazione degli investimenti, il sistema locale si apre alla contaminazione dall’esterno, attraverso l’accordo con imprese e con istituzioni rappresentative delle reti globali della sostenibilità ; in termini operativi ciò si traduce nell’acquisizione di soci industriali e centri di ricerca che partecipano alla ESCO e tramite questa al progetto costituente del nuovo territorio; * in terzo luogo, grazie alla costruzione di una “corsia preferenziale” per gli investimenti e i problemi dell’ambiente, il territorio si dota di una istituzione di progetto che risulta non solo più facilmente controllabile (sui risultati veri e non sulle procedure), ma anche luogo di sperimentazione e apprendimento per agenti che nello schema attuale (che separa nettamente pubblico e privato) non sono chiamati a produrre insieme nuova conoscenza (è la knowledge creating company di Nonaka e Takeuchi). La scelta del Comune di Montecchio risolve in modo nuovo anche il nodo della collaborazione tra istituzioni territoriali diverse. Entro il modello della sussidiarietà  verticale che caratterizza le nostre istituzioni (anche dopo la riforma Bassanini) non c’è possibilità  vera di cooperazione tra comuni, province e regione su temi trasversali. La nascita di una impresa che presidia in modo competente un problema generale e che, nello stesso tempo, è svincolata dalle procedure dell’amministrazione, apre alla possibilità  concreta che si faccia largo una “comunità  locale” dell’Ovest Vicentino che assume identità , ruolo produttivo e capacità  di rinnovare nei fatti una sussidiarietà  che non funziona. Il progetto di sviluppo locale dell’Ovest Vicentino parte nel modo giusto e, anche dal punto di vista delle risorse finanziarie, si pone prospettive più ampie e più aperte del quelle disponibili in quadro tradizionale di analisi preliminari, autorizzazioni, finanziamenti pubblici, contese sugli appalti e conflitti di competenza tra enti e funzionari senza saperi e senza identità . Gli agenti che partecipano al progetto si impegnano a trovare i fondi necessari sul mercato in primo luogo e in diversi ambiti del sistema finanziario privato (bancario, ma non solo). Da istituzioni “di servizio” a istituzioni “di progetto” Europa 2020, Trentino 2020, Ovest Vicentino 2020â¦ Il programma politico e amministrativo dei prossimi anni sembra essere già  scritto. Entro il 2020 la comunità  internazionale si propone di ridurre i gas serra che minacciano la sopravvivenza del pianeta e della specie e di reinterpretare lo sviluppo in chiave di efficienza energetica e riduzione della dipendenza dai carburanti fossili. Siamo di fronte ad un cambiamento paragonabile a quello innestato all’inizio del secolo scorso dai grandi investimenti sui mezzi di trasporto. Per oltre un secolo l’impegno degli stati nazionali è stato quello di allargare le reti di comunicazione, costruire città , automobili, treni e aeroplani. Lo strumento per ottenere questo tipo di “civiltà  nazionale” sono state le grandi industrie, pubbliche e private, la Ford e l’IRI, l’IBM e l’Airbus. Oggi la prospettiva è diversa. Quel tipo di sviluppo (da molti definito fordista) sta incontrando limiti importanti e non sembra trasferibile ad libitum alle economie emergenti. Sia pure con qualche riluttanza (avrebbero infatti preferito un po’ di capitalismo “sprecone” prima di passare alla green economy) anche India e Cina sembrano disponibili a lavorare per uno sviluppo compartibile con l’ambiente. Il mercato mondiale della seconda globalizzazione diventa, salvo imprevisti, un mercato molto più sensibile a prodotti e servizi”sostenibili”. La frontiera dello sviluppo tecnologico si sposta dalla produzione al controllo del territorio, dalla estensione del modello tradizionale metropolitano ad un modello sostenibile e decentrato. L’Ovest vicentino non può sottrarsi a questa evoluzione del contesto. Anzi, cresciuto negli anni ’60 con il mito “metropolitano” dell’automobile e della società  industriale, si trova oggi in una posizione forse più favorevole al raggiungimento dei nuovi obiettivi che la comunità  internazionale propone. Le risorse non mancano e neppure l’esperienza (in fondo la sensibilità  ambientale è nata da queste parti prima che altrove proprio per le condizioni oggettive dell’economia), ma c’è bisogno di un contesto istituzionale nuovo per imprimere l’accelerazione necessaria a colmare un gap strutturale che è particolarmente ampio. C’è bisogno di una nuova frontiera e di una radicale innovazione. In questa prospettiva l’idea di realizzare un accordo che coinvolga amministrazioni comunali e soggetti privati nello sviluppo di nuove competenze e tecnologie ambientali, all’interno di una “istituzione di progetto” come una ESCO mista, significa attivare di fatto il processo costituente di una nuova comunità  locale. Significa porre le basi per una intesa programmatica che propone di investire su una nuova filiera cognitiva e produttiva e, nel lungo termine, trasformare l’identità  stessa del territorio. Con il passaggio all’economia postfordista il ruolo del “territorio” e delle sue istituzioni è cresciuto enormemente, ma ciò non si è tradotto ancora in “nuova cultura dello Stato e dell’autonomia”. L’esperimento vicentino si colloca dunque all’interno della “lunga marcia” italiana verso un sistema federale, verso un sistema di “comunità  locali” che possa essere il motore di uno sviluppo sostenibile. Problemi aperti L’Ovest Vicentino si trova oggi al crocevia di almeno un paio di sentieri di sviluppo e innovazione: * quello dell’economia locale, che dalla dimensione energivora e predatrice di risorse e di territorio della “prima industrializzazione” tenta di passare alla dimensione leggera di una”green economy” di classe mondiale; * quello della politica g-locale, che a Nordest tenta di sottrarsi alla morsa del localismo esasperato e della mancanza quasi assoluta di strategie e di strumenti di federalismo vero, di sussidiarietà  comunitaria con ambizioni globali e nazionali. Due sindaci e un economista stanno provando a costruire, con il contributo attivo di semplici cittadini ed esperti imprenditori, il percorso costituente di una nuova identità  locale. Il tema di fondo è lo sviluppo sostenibile, la famiglia di artefatti su cui il territorio vuol puntare sono le reti e le tecnologie dell’acqua, i sistemi di controllo e l’automazione applicata ai processi industriali (con obiettivi di risparmio energetico e ambientale), il sistema istituzionale è quello di una “comunità  locale” più ampia dei singoli comuni, non focalizzata solo sui servizi e disponibile a riconoscersi in nuove istituzioni (coerenti con la nuova identità ). Moltissimi sono i problemi aperti: * il quadro politico istituzionale (regionale e nazionale) non è favorevole ad esperienze innovative; anche la semplice questione delle scadenze elettorali e del prossimo rinnovo delle amministrazioni (per non parlare delle a-sincronie interne all’Ovest Vicentino) rischia di pesare su un progetto, che non può che essere di lungo periodo; * i vincoli normativi rischiano di confinare il confronto tra agenti pubblici e privati all’interno di procedure e pratiche che dell’apprendimento e dell’innovazione non prevedono neppure l’esistenza; * le inerzie culturali presenti a tutti i livelli, all’interno degli agenti pubblici e privati, nelle università  e nei centri di ricerca. Riuscire a costruire un esperimento che sappia superare i limiti più volte citati delle politiche pubbliche locali e “rompa gli schemi” del sistema politico e culturale prevalente non sarà  facile. E due sindaci e un economista non sono sufficienti. L’attività  svolta finora sta tuttavia mobilitando risorse superiori a qualsiasi aspettativa. Molti cittadini e imprenditori sono sinceramente interessati a dare un contributo. Il processo è avviato e c’è da sperare che sia così forte da imporsi come modello anche per altre “comunità  locali”.