Nuvole e sciacquoni di Giulio Conte

La crisi idrica è ormai un fatto acquisito1; non solo nei luoghi aridi per eccellenza – come il Medio Oriente, la penisola araba o il Sud-Ovest degli Stati Uniti â ma anche in aree che immaginiamo umide e fertili, come l’India, l’Africa equatoriale e gli Stati Uniti centrali. Per secoli l’umanità  ha risposto al crescente bisogno d’acqua imposto dal miglioramento delle condizioni di vita, dallo sviluppo agricolo e dall’industrializzazione, cercando nuove risorse idriche da sfruttare: scavando nuovi pozzi e accumulando le risorse superficiali in bacini formati da dighe sempre più grandi.

Da alcuni decenni però, è sempre più difficile trovare nuove risorse: l’aumento del prelievo di acque sotterranee sta portando alla salinizzazione delle falde e la sottrazione di acqua dai fiumi li rende sempre più inquinati. Insomma, ogni volta che proviamo a prendere più acqua da una parte, causiamo dei problemi da un’altra, proprio come una coperta troppo corta che non puoi tirare da un lato senza scoprirne un altro. In breve, una domanda d’acqua in forte crescita sta superando l’offerta.

In Giordania e in Libia, ma anche in India e in Cina, le falde sono sovrasfruttate â si preleva più acqua della capacità  di ricarica attraverso le piogge â e da alcuni anni si estrae acqua ‘fossile’, non più rinnovabile. Al tempo stesso, la sottrazione di acque alla circolazione naturale ha un inevitabile impatto negativo sui corsi d’acqua e sulle zone umide del pianeta, e si scontra con la crescente domanda di tutela e riqualificazione di questi fondamentali ecosistemi.

E’ questo il punto di partenza di Nuvole e Sciacquoni, il libro Giulio Conte â biologo ed esperto di gestione sostenibile delle acque ârecentemente pubblicato da Edizioni Ambiente. Da questa premessa emerge la necessità  urgente di ridurre i consumi d’acqua e valorizzare le fonti alternative (prime fra tutte il risparmio, la raccolta della pioggia e il riuso delle acque usate e solo dopo, se veramente necessario, la desalinizzazione dell’acqua di mare). Insomma, si tratta di avviare per l’acqua, un processo simile a quello avviato per l’energia. Ma mentre il movimento ambientalista è riuscito, negli scorsi 15-20 anni, ad imporre con forza il tema energetico, fino a farlo divenire centrale nelle agende dei Governi e delle Istituzioni sovranazionali, nulla di simile sta avvenendo per l’acqua. Il dibattito si è focalizzato sul tema della ‘privatizzazione’ dell’acqua che, pur importante in alcune zone del pianeta, rischia di non cogliere i veri problemi in gioco. Per garantire seriamente il ‘diritto all’acqua’ per le generazioni future, infatti, sono necessari cambiamenti profondi che abbracciano non solo il modello di gestione dell’acqua potabile â che dovrà  essere rivisto ‘strutturalmente’, indipendentemente dal fatto che il soggetto gestore sia pubblico o privato – ma anche le politiche economiche globali e l’assetto del territorio, sia agricolo che urbano.

La ‘questione irrigua’, ovvero come ridurre i consumi d’acqua producendo cibo sufficiente per l’umanità  in crescita, è uno dei due punti chiave da risolvere per affrontare la crisi idrica, reso ancor più urgente dalla crescente domanda di terra e d’acqua per la produzione di biocombustibili. Nel mondo circa il 70% dell’acqua consumata è usata per irrigazione, e la domanda irrigua è in crescita, in particolare nei paesi emergenti (India, Cina, Brasile, ecc.).

Ma Nuvole e Sciacquoni si occupa solo marginalmente della questione irrigua, mentre si concentra sulle possibili soluzioni per migliorare l’uso domestico e urbano. C’è infatti un altro aspetto importante alla base della crisi idrica, in cui siamo tutti più direttamente coinvolti, riguarda la gestione dell’acqua che esce tutti i giorni dai rubinetti di casa nostra, che usiamo quotidianamente per mille motivi, con cui scarichiamo i nostri WC. Quest’acqua rappresenta una quota minore dei consumi idrici – in Italia e negli altri paesi che usano molta acqua per irrigazione è circa il 20% – ma è quella che richiede la qualità  migliore, qualità  che in genere hanno solo le acque sotterranee o di sorgente. Per questo il progressivo inquinamento delle acque â ad esempio a causa della contaminazione da nitrati delle falde della pianura padana â costringe alla ricerca di acque di miglior qualità  per l’uso potabile, in zone sempre più distanti dai siti di utilizzo, con costi e impatti ambientali crescenti.

Ma c’è un altro importante motivo di preoccupazione, riguardante la gestione dell’acqua domestica: l’acqua usata nelle nostre case è spesso ancora la principale causa dell’inquinamento dei fiumi e delle falde, anche quando riusciamo a farla passare attraverso un depuratore prima di scaricarla. A partire dagli anni ‘60, in tutti i Paesi occidentali sono stati avviati importanti piani di infrastrutturazione per la depurazione delle acque di scarico: oggi, in questi Paesi, percentuali elevate (in genere superiori all’70% con punte prossime al 100%, in Italia si stima che la popolazione equivalente servita sia dell’ordine dell’80%)  della popolazione sono allacciate alla rete fognaria e servite da un depuratore. Questo ha permesso una significativa riduzione dell’inquinamento, ma non ha risolto il problema: per molti motivi â descritti nel capitolo 2 del libro –  i nostri fiumi e le nostre falde rimangono inquinate, a volte a livelli che ne rendono le acque praticamente inutilizzabili, con evidenti ripercussioni anche sulla qualità  degli ecosistemi che ricevono gli inquinanti.

Da oltre un decennio, ad occhi esperti di tutto il mondo, è risultato sempre più chiaro che il modello di gestione delle acque nelle nostre città  non è sostenibile. Non è sostenibile il modello ‘urbano’, basato su  ‘prelievo, distribuzione, utilizzo, fognatura, depuratore, restituzione al corpo idrico‘, perché comporta un uso eccessivo di risorse idriche di altissima qualità , perché produce inquinamento che può essere solo parzialmente ridotto ricorrendo alla depurazione, perché non si cura di riutilizzare risorse preziose come l’azoto e il fosforo contenute nelle ‘acque di scarico’. Non è sostenibile il modello ‘domestico’, perché è basato su una serie di pratiche come minimo rozze, se non completamente illogiche: l’approvvigionamento idrico delle nostre case attraverso un’unica fonte â l’acqua fornita attraverso l’acquedotto pubblico â anche quando sarebbe possibile, utile e conveniente raccogliere e usare l’acqua di pioggia; il consumo indiscriminato dell’acqua potabile, usata in grandi quantità  per scaricare il WC; l’eliminazione di tutti i nostri scarti attraverso un unico sistema di scarico â siano essi escrementi con carica batterica altissima, urine ricche di prezioso azoto, o acqua praticamente potabile usata per sciacquare la frutta.

Ma come è possibile migliorare la gestione delle acque nelle nostre case e città  per ridurre i consumi,  migliorare la depurazione e riequilibrare i cicli biogeochimici degli elementi? Secondo molti esperti vi sono molte soluzioni tecniche che permetterebbero di migliorare la gestione dell’acqua a livello domestico e urbano: l’insieme di tali soluzioni costituisce l’approccio tecnico culturale chiamato sustainable sanitation, concepito in Nord Europa, ma ora sempre più diffuso in tutto il mondo. I principali promotori di questa strategia si sono recentemente organizzati nella ‘sustainable sanitation alliance’ (SUSANA (http://www.sustainable-sanitation-alliance.org/), una associazione a cui aderiscono decine di diversi soggetti: organismi dell’ONU, Enti di ricerca e Agenzie di cooperazione internazionale, associazioni scientifiche e ONG, Enti locali, singole imprese) provenienti da ogni angolo del mondo (dal Brasile al Giappone, dalle Filippine al Sud Africa, (http://www.sustainable-sanitation-alliance.org/partners.html) con una prevalenza di partner europei ed indiani. Inutile dire che tra i partner di SUSANA non c’è nessun italianoâ¦

Il libro di Giulio Conte, quindi, non si limita a fornire all’analisi un punto di vista nuovo, ma costituisce, un’utile guida alle soluzioni tecniche praticabili alla scala domestica e alla scala urbana.

Il capitolo 1 e il capitolo 2, sono dedicati ad analizzare come si è evoluta nel corso della storia la gestione domestica e urbana dell’acqua: quando e come sono avvenuti i principali cambiamenti che hanno portato al modello attuale, quali problemi sono stati risolti e quali restano ancora da affrontare. Completa il quadro ‘analitico’ l’appendice, che sintetizza l’insieme delle informazioni esistenti sullo stato delle acque e dei consumi idrici in Italia. I capitoli 3 e 4 sono dedicati alle proposte: possono essere considerati una sorta di ‘guida’ alle tecniche per migliorare la gestione delle acque nelle nostre case e città .

Le soluzioni applicabili agli edifici sono descritte nel capitolo 3, mentre di quelle a scala urbana si parla nel capitolo 4. Tra le prime vi sono innanzitutto le soluzioni per il risparmio idrico domestico: dai frangigetto applicabili facilmente ai nostri rubinetti (che è necessario però scegliere con attenzione, perché possono avere prestazioni molto diverse!), alle accortezze necessarie in fase di istallazione di un WC per dimensionare il volume di scarico, alla scelta di elettrodomestici a basso consumo idrico.

Tra le soluzioni alla scala ‘domestica’, uno spazio importante è dedicato a due tecniche applicabili ad abitazioni in fase di costruzione o ristrutturazione: la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie (quelle che provengono da lavabi e docce) depurate. Si presentano anche alcune soluzioni che potrebbero essere considerate ‘estreme’ ma che, applicate in contesti appropriati, permetterebbero di affrontare problemi altrimenti difficilmente risolvibili: la raccolta separata delle urine e le toilet a ‘compostaggio’ (che non usano acqua). Diverse sono anche le proposte di innovazione alla scala urbana: dai sistemi di gestione delle reti idriche per ridurre le perdite, alle tecniche per permettere il trattamento decentrato degli scarichi, alle soluzioni per gestire le piogge minimizzandone gli effetti negativi, fino al riuso delle acque trattate dai depuratori. Le diverse soluzioni sono presentate in modo completo ma sintetico e non troppo tecnico: chi fosse interessato ad approfondire troverà  in nota un gran numero di riferimenti bibliografici e siti internet.

Ma a questo punto è inevitabile domandarsi: le politiche e normative italiane in vigore, sono compatibili con l’approccio e le innovazioni proposte in Nuvole e Sciacquoni? Conte prova a rispondere a questa domanda nel capitolo 5, dove, partendo dal dibattito in corso sul tema della privatizzazione dei servizi idrici, analizza l’applicazione della Legge 36/94 in rapporto con gli altri strumenti normativi e pianificatori, in particolare con l’attuazione della Direttiva Quadro 2000/60 che ci impone il raggiungimento degli obiettivi di qualità  dei corpi idrici, il rispetto del principio del full cost recovery e la partecipazione dei cittadini alle scelte riguardanti la gestione delle acque. La sua analisi evidenzia la sostanziale validità  dell’impianto teorico della Legge Galli, ma mette in luce  le difficoltà  e contraddittorietà  della sua attuazione.

Conte, citando i numerosi esempi di scelte infrastrutturali di dubbia efficacia operate da Autorità  d’Ambito o gestori, mostra come spesso i Piani d’Ambito sono molto distanti dall’approccio della gestione sostenibile e, in qualche caso, anche dalla semplice razionalità  tecnico-economica. D’altra parte, la cultura tecnica del settore non ha mai guardato al problema della gestione delle acque dal punto di vista ‘ecologico’ ma sempre e solo da quello della qualità  del servizio, che non tiene conto della necessità  di ottimizzare in consumi e di recuperare i nutrienti contenuti negli scarichi. E’ una cultura ormai radicata, che tende ad autoconservarsi, affrontando i problemi con le stesse soluzioni adoperate da decenni. ‘Perché una simile cultura evolva e impari a ricorrere a una gamma più vasta di soluzioni e tecnologie â sottolinea Conte â passeranno molti anni’.

‘Ma c’è un altro motivo – sostiene sempre Conte – per cui i gestori del servizio idrico hanno un approccio tendenzialmente conservatore e non ricorrono a soluzioni tecniche e pratiche gestionali innovative: semplicemente perché nessuno glielo chiede. Nello schema concettuale teorico creato dalla legge 36/1994, infatti, il gestore è il fornitore del servizio: la sua controparte è l’Autorità  o Agenzia d’Ambito Territoriale Ottimale (AATO), che rappresenta l’interesse collettivo, ed è costituita dai Comuni di un determinato territorio â l’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) appunto. à l’Autorità  d’Ambito che ha il compito di indirizzare e regolare l’attività  del gestore attraverso il contratto di servizio, spingendosi, al limite, a recedere dal contratto se non soddisfatta e a trovare un nuovo gestore.

Dovrebbe essere quindi l’AATO a verificare le soluzioni proposte dal gestore, chiedendogli di giustificare le sue scelte quando propone, ad esempio, lo sfruttamento di nuove fonti, senza aver migliorato le perdite di rete o la realizzazione di un sistema di trattamento terziario per eliminare l’azoto, senza aver valutato le potenzialità  di riuso delle acque di scarico. Se in teoria il meccanismo potrebbe funzionare, nella pratica, le controparti dei gestori del servizio idrico, le Autorità  o Agenzie d’Ambito, sono molto spesso soggetti estremamente deboli dal punto di vista tecnico-scientifico: anche se teoricamente sarebbero loro, attraverso il Piano d’Ambito, a decidere gli investimenti necessari per migliorare la gestione delle acque, nei fatti si trovano spesso a dover accettare, senza essere in grado di verificarle, le proposte che vengono dai gestori’.

Secondo l’autore di Nuvole e Sciacquoni, dunque, il problema di scarsa capacità  innovativa dei Piani d’Ambito dipende dalla debolezza tecnico/economica del ‘controllore’ (l’Autorità  d’Ambito) rispetto al ‘controllato’ (il gestore). ‘Per superare i limiti della 36/1994 â sostiene sempre Conte â è necessario quindi innanzitutto ripensare il processo di formazione del Piano d’Ambito, che deve essere redatto attraverso un processo realmente partecipato â così come previsto dalla Direttiva 2000/60 â che venga concepito inizialmente con diverse soluzioni alternative tra loro: in termini di schemi di distribuzione e collettamento delle acque, di tecniche utilizzate, di scelte gestionali. Naturalmente un simile processo richiede procedure e strumenti adeguati, nulla a che vedere con quanto avviene oggi nelle conferenze di pianificazione o di servizi [â¦].

Ma perché un simile processo funzioni è necessario fare in modo che l’interesse collettivo abbia le competenze necessarie a valutare le diverse alternative di piano che vengono proposte. Significa che le Autorità  d’Ambito debbono avere al loro interno personale tecnico di alto livello, selezionato dai Comuni e â perché no? â dalla società  civile, in particolare associazioni ambientaliste e di consumatori, in modo che essi ne abbiano piena fiducia. Il costo aggiuntivo di questa ‘struttura tecnica di controllo’ potrebbe essere coperto da un aumento dei canoni’.

L’analisi proposta da Conte mostra che la necessità  di gestire in modo coordinato il servizio idrico all’interno dell’Ambito Territoriale Ottimale non significa adottare le stesse scelte tecniche e gestionali su tutto il territorio, al contrario significa coordinare approcci e soluzioni diverse, ottimizzandole al fine di una gestione più razionale possibile.

Il punto di arrivo del libro di Conte, per quanto riguarda la legge ‘Galli’ è una domanda che rimane aperta e che rimandiamo ai lettori di Gazzetta Ambiente: ‘In un sistema del genere, dove la collettività  ha gli strumenti necessari ed il ‘peso’ per operare un reale controllo sulle scelte, è effettivamente necessario un ente unico di gestione o sarebbe possibile immaginare diversi soggetti incaricati della gestione, ciascuno con una sua specificità  (territoriale o tecnica)? Se la risposta fosse: no, un ente unico non è effettivamente necessario, allora sarebbe effettivamente il caso di mandare in pensione la legge ‘Galli’ e pensare seriamente a qualcosa di nuovo.’

Note

1   Un quadro esaustivo della situazione idrica mondiale è fornito dal Secondo Rapporto UNEP sull’Acqua ‘Water: a shared responsibility’. UNESCO-WWAP 2006. Il testo è scaricabile anche da internet al sito (http://www.unesco.org/water/ wwap/wwdr2/table_contents.shtml) Altrettanto ricco, ma di più agevole lettura è ‘When the rivers run dry’, tradotto in Italiano come ‘Un Pianeta senz’acqua’ (Il Saggiatore 2006) di Fred Pearce, storica firma del New Scientist, la più prestigiosa rivista inglese di divulgazione scientifica. Tra le decine di storie raccontate da Pearce, colpiscono, più delle drammatiche crisi dei paesi aridi, i racconti di falde e fiumi che scompaiono in aree storicamente fertili, come le grandi pianure agricole del ‘Midwest’, dove un tempo i bisonti pascolavano in immense praterie verdi..